I dati in possesso della centrale NUE112 non collimano con la ricostruzione fornita da alcune testate. Cosa sappiamo e come funziona il 118 o il 112 in questi casi.
C’è una indagine aperta sulla morte di una ragazza avvenuta il 20 gennaio a Focene, all’Havana Beach, dove Janna Gommelt si trovava insieme al fidanzato Micheal Douglas, irlandese. La vicenda è finita sulle pagine di Repubblica Roma con un titolo molto forte, con accuse estremamente precise: “Il 118 non parlava inglese”.
La Procura, sulla base delle indicazioni raccolte, ha aperto un fascicolo di indagine per istigazione al suicidio. Un capo d’accusa pesante e particolare, per cui non è ancora chiaro quali siano gli eventuali iscritti nel registro degli indagati. Quello che sappiamo, oggi, è che la telefonata al 118 ha visto rispondere un operatore italiano che parlava perfettamente in inglese, e che ha correttamente attivato il servizio di ambulanze in circa 120 secondi.
Cosa ha denunciato il ragazzo della vittima?
La denuncia finita sui giornali riporta un’attesa notevole, dopo che la ragazza si è sentita male all’improvviso a bordo del camper che era parcheggiato nei pressi dell’Havana Beach di Focene. Secondo le parole riportate dal giornale, l’uomo ha atteso più di 40 minuti prima di muoversi, e trovare l’ambulanza che stava cercando nella zona proprio loro, a pochi chilometri di distanza. Cosa c’è che non collima in questa ricostruzione? Prima di tutto la risposta “non in lingua” del 112 e del 118. Poi i tempi di intervento. Infine la possibilità che la traccia GPS fosse sbagliata.
Come funziona il 112 quando non si parla italiano?
Il NUE è un numero unico per le emergenze pensato appositamente per unificare a livello europeo la risposta in caso di necessità da parte dei cittadini. E’ quindi naturale che il primo operatore che ha risposto al telefono in questa emergenza avesse competenze per rispondere nella corretta lingua all’interlocutore. L’operatore ha attivato il servizio di ambulanza con un traduttore in circa due minuti, dopo aver geolocalizzato l’intervento. Al termine della telefonata, l’operatore del 112 ha attivato un traduttore per l’operatore del 118 perché si potesse procedere con la valutazione a distanza tramite intervista telefonica. In questo momento viene definito il codice di gravità dell’intervento, e la patologia per cui è necessario inviare il mezzo di base e il mezzo avanzato. Ma la geolocalizzazione dell’evento è già acquisita.
Le dichiarazioni dell’assessorato alla sanità della Regione Lazio
“In merito all’articolo pubblicato oggi sulla cronaca di Roma di Repubblica, con titolo ‘Il 118 non parla inglese’, la direzione di Ares 118 precisa quanto segue: non corrisponde assolutamente al vero che ci sia stato un problema di barriera linguistica con l’utente: la chiamata è stata passata in centrale operativa 118 da parte del NUE 112 alle ore 15.41 (e i due minuti di audio integrali senza tagli sono stati resi disponibili dalla Centrale operativa del 112 ndr), con l’attivazione contestuale del servizio di interpretariato. Il personale di centrale ha dunque risposto alla chiamata dell’utente con l’interprete già in linea. Il triage telefonico è stato particolarmente approfondito ed è oggetto dell’audit da parte della Direzione regionale Salute i cui risultati verranno resi noti non appena disponibili. Dai tabulati in nostro possesso risulta che, dalla fine della chiamata all’arrivo sul posto di ambulanza e automedica, sono trascorsi 18 minuti. I mezzi sono stati correttamente inviati dove l’utente aveva riferito di trovarsi ma, all’arrivo sul posto, le equipe sanitarie non hanno trovato nessuno, dal momento che l’uomo aveva deciso autonomamente di spostarsi”.
18 minuti dalla chiamata all’arrivo sul posto: Cosa è mancato per salvare una vita?
E’ estremamente complesso raggiungere una località periferica in meno dei 22 minuti imposti dai dettami sanitari prinipali. Soprattutto se – come a Focene – esistono diversi luoghi con lo stesso identico nome (Havana Beach è sia un ristorante che una spiaggia, fra due parcheggi piuttosto estesi).
Purtroppo, soprattutto in una situazione come questa, è necessario sapere cosa bisogna fare per massimizzare le chances di sopravvivenza con arresto cardiaco. Poter effettuare immediatamente una CPR da parte di un cittadino comune ed eventualmente applicare un defibrillatore è l’unica strada utile per poter pensare di salvare una vita in una zona remota e difficilmente raggiungibile. Se non si fa nulla, in queste situazioni, qualsiasi arresto cardiaco diventa irreversibile. Sarà quindi la Procura ad indagare per valutare quali siano stati realmente i motivi della morte, e se ci siano state mancanze o errori da parte del servizio sanitario.
L’importanza delle corrette indicazioni
Una precisazione però va inserita. Dalle ricostruzioni fornite appare chiaro che il mezzo da individuare sia stato localizzato come un camper grigio. Ma nella realtà, quello su cui viaggiava Janna con Micheal, era un furgone di tipo commerciale. La differenza potrebbe non apparire evidente ad un primo approccio, ma è fondamentale quando si sta cercando di individuare un evento o un veicolo specifico in una zona non trafficata. Infine, i tempi: se la telefonata è avvenuta alle 15.39 e l’ambulanza è partita – presumibilmente all’attivazione, cioè 5-10 minuti dopo – l’arrivo sul target è stimabile fra le 16.10 e le 16.15. Siamo nel campo delle ipotesi, bisogna rimarcarlo. Ma se in questo lasso di tempo, come riconosce lo stesso compagno della deceduta, il mezzo con a bordo la vittima di arresto cardiaco si è spostato, la localizzazione è sicuramente diventata più complessa.