Rescue Press ha realizzato una riunione online con medici, infermieri e autisti soccorritori, per un commento a caldo di ciò che sta succedendo a Roma attorno alle tante proposte di regolamentazione del servizio di emergenza-urganza ospedaliero e pre-ospedaliero. Su cosa non si può transigere per rispettare la salute del paziente?
Il #Fuoriditurno di Rescue Press dedicato al futuro del 118, mercoledì sera, è stato un evento davvero emozionante. Perché con la nostra diretta abbiamo potuto seguire – senza filtro – le reazioni di chi ogni giorno lavora nel 118 e si da il cambio fra Pronto Soccorso e ambulanza, davanti alla risposta politica che arriva dal Ministero della Salute. Una risposta come sempre attendista e trepidante nell’accettare quella che è la realtà: per difendere i privilegi di pochi, per lasciare porte aperte a professionisti che non vogliono fare 118 e Pronto Soccorso, si stanno sacrificando ancora una volta le competenze e la qualità del servizio di emergenza-urgenza ospedaliero e pre-ospedaliero.
Nonostante il trentennale, nonostante il Covid-19, siamo fermi ai complimenti
Ancora una volta la politica sembra non avere la forza di rendere il 112/118 un sistema efficiente e basato sulle competenze, più che sui titoli e sui numeri. Sono ormai passati quasi 1.000 giorni dall’inizio della discussione sulla riforma del 118, e sulla figura dell’autista-soccorritore. Nel frattempo sono passati due governi, una pandemia in 4 ondate, ed è iniziata una guerra che sembra sempre di più mondiale. In tutto questo medici, infermieri, autisti-soccorritori e volontari hanno patito la totale mancanza di un sistema univoco, capace di garantire lo stesso tipo di intervento a parità di patologia da Aosta a Lampedusa. Insomma: siamo fermi alle pacche sulle spalle per aver tenuto sul groppone il peso di una risposta sanitaria adeguata (e non preparata) davanti al Covid-19. Una mancia da 89 milioni di euro caduti a pioggia. E una valangata di ferie non godute e di straordinari ancora in fase di pagamento.
Posizioni dei professionisti chiare: ma l’ascolto da parte dei politici?
Drammatiche e ormai spazientite sono le posizioni di medici e infermieri. La linea che potremmo seguire è quella che dettano SIMEU e SIIET nel webinar: “Dobbiamo capire – ha spiegato Roberto Romano, presidente SIIET – che il sistema si riforma seguendo le prerogative di chi ci lavora dentro. Non possiamo pensare di scaricare tutto il peso sanitario sull’infermiere perché non ci sono medici. Non possiamo di farlo senza fare formazione agli infermieri e senza pagarli adeguatamente per ciò che fanno. Non possiamo nemmeno mandare gli infermieri dappertutto, anche dove la figura del soccorritore volontario può fare un lavoro adeguato alla tipologia di paziente”. Insomma: se parlassimo la stessa lingua e ci basassimo sugli stessi dati, potremmo costruire un sistema calibrato sulle esigenze del territorio. La costruzione delle reti e dei percorsi serve anche a questo.
Smettere di parlare di professione, iniziare a parlare di competenza
Ancora più nette le posizioni di SIMEU: “Se noi vogliamo una certa tipologia di operatore che faccia 118 e Pronto Soccorso – spiega Andrea Fabbri, vicepresidente SIMEU – dobbiamo costruire il contenitore di competenze che servono per fare quelle attività. Dobbiamo decidere quale strada seguire, sapendo che ognuno dovrà lasciare sul terreno qualcosa. Ma se non lo facciamo, come pensiamo di poter attrarre nuovi medici in PS? Le soluzioni che abbiamo ora sono tamponi, spesso poco efficaci, davanti ai quali gli stessi medici poi decidono di cambiare strada”.
La difesa degli orticelli, una pratica da estirpare
Eppure i numeri e i dati su cui costruire un 118 efficace e di alto livello esistono. Non solo numeri, ma anche outcomes, soddisfazione dei pazienti, capacità di entrare nella rete sanitaria e di uscirne guariti in poco tempo. Ma questa battaglia non è una battaglia che si combatte solo sui numeri, appare chiaro da tempo. C’è chi combatte per mantenere attive piccole centrali operative (dove in TUTTA Europa si lavora per avere dispatch maggiori e centralizzazione regionale del sistema). C’è chi combatte per avere posti di lavoro disponibili (che però non sono affatto amati – in particolare dai medici di medicina generale che non agognano diventare MET e salire in ambulanza). E raramente c’è chi mette al centro della discussione il paziente, con i suoi limiti, i suoi problemi e la sua fame di risposta. “Ogni ambito politico è convinto che il problema sia risolvibile da un’altro ente che non sia il proprio”. “Si propone che il 118 diventi un dipartimento che nulla abbia a che spartire con l’Ospedale. C’è chi presenta dati dicendo che il 45% dei pazienti soccorsi da medici in casa, resterebbero a casa e non andrebbero in Pronto Soccorso. Il problema non è rivendicare questa roba: il problema è che finché si difende in modo corporativo il proprio territorio, non andiamo da nessuna parte. Se quando si parla di 118 non si parla di emergenza, non si parla di ospedale, non funziona”.
Si può sanare la spaccatura?
Non lo sappiamo. Vi consigliamo però di vedere il webinar di Rescue Press qui sotto. Noi saremo sempre qui, pronti a dare la parola a tutti per raccontare quello che sarà il futuro del 118 e dell’emergenza urgenza ospedaliera, che a Riva ha firmato una carta congiunta per dare speranza al sistema sanitario. Prima che tutto crolli.