A Roma il caos dei Pronto Soccorso è sempre più elevato: a causa dell’influenza nelle ultime giornate più di 100 ambulanze (come scrive il Messaggero) sono rimaste in attesa per il rilascio delle barelle delle ambulanze. Che soluzioni intraprendere?

ROMA – 150 ambulanze per 2.8 milioni di persone. Questi i numeri “ufficiali” della rete di ambulanze che ARES può mettere a disposizione della Capitale. Un numero che va integrato con tutti i mezzi in convenzione di ANPAS, Misericordie e Croce Rossa, più le cooperative di ambulanze private. Un numero però che si scontra con un problema reale insormontabile: la mancanza di strutture adeguate per spostare i pazienti dalle barelle delle ambulanze alle barelle dei Pronto Soccorso. 

Il blocco barella e le file di ambulanze: fino a 4 ore di attesa per “chiudere” un servizio

Lo stress che stanno vivendo le centrali operative e i servizi di ambulanze è fuori dall’ordinario, e lo è da molto tempo. A Roma e nel Lazio gli ospedali non riescono ad accogliere tutti i pazienti che arrivano nei reparti di emergenza-urgenza. I mezzi infatti partono per i servizi, portano in pochi minuti i pazienti all’ospedale, ma poi rimangono bloccati in coda perché non c’è una barella o uno spazio dove accomodarsi in Pronto Soccorso. La problematica è nota nell’ambiente da anni, ma non pare esserci soluzione: se i posti letto sono ridotti, e non si può mettere a sedere un paziente che è allettato in barella, la normalità diventa in pochi minuti maxi-emergenza. Con ricadute gravissime sul territorio.

Servizi che si dilatano, distanze che aumentano, tempi interminabili

Ascoltando diverse testimonianze infatti emerge che il sistema per non collassare sta gestendo l’emergenza come una maxi-emergenza. Le ambulanze, diventando merce rara, vengono attivate anche a chilometri di distanza, perché la risposta diventa ancora più rarefatta nell’hinterland di Roma, fino a 20, 30 chilometri dalla capitale. Perché se un’ambulanza che serve Colleferro o Alatri rimane bloccata per quattro ore in PS, in quel periodo deve intervenire sulla periferia un mezzo dalla capitale.

Sarebbe untile un “check-up” con il servizio territoriale?

Lenire questa piaga non è affatto semplice: più infermieri, più medici, più posti letto potrebbero non essere sufficienti. E non si può chiedere ai cittadini di non chiamare il 112 o il 118 (anche se una maggiore educazione sul suo utilizzo è necessaria). Una soluzione potrebbe esserci. Il filtro dei servizi territoriali. Come dichiarato al Corriere della Sera dalla direttrice dei servizi sanitari 118 dell’ARES Lucia de Vito, le ambulanze romane hanno servito 394.000 pazienti nel 2022. Numeri importanti ma che non riescono con la loro forza a risolvere il problema, estremamente complicato.

E mettere a frutto le competenze infermieristiche?

Con l’implementazione del 116117 le centrali operative potrebbero smistare già in partenza i pazienti non critici verso una casa della salute locale. Ma ci vorrà molto tempo. Forse però ci sono anche ulteriori spunti da approfondire. Sfruttando le competenze infermieristiche – dopo una valutazione sanitaria di partenza e lavorando con la C.O. – si potrebbero portare i pazienti meno complessi in strutture di secondo livello. Sarebbe una buona soluzione per decongestionare i DEA di pazienti non critici. Una specie di “sosta tecnica al contrario” per far valutare i pazienti da medici e specialisti di centri non dotati di attrezzature all’avanguardia, ma che però farebbero il paio con un metodo di gestione del territorio che deve cambiare. Visto così, il 118 in Italia non può soddisfare le esigenze dei pazienti, le esigenze del sistema, e soprattutto disintegra la fiducia e la confidenza dei sanitari nei propri mezzi e nelle proprie capacità. E’ davvero il momento di pensare ad una soluzione alternativa.