Come interviene il soccorritore nella violenza sulle donne? Come gestisce una chiamata la centrale operativa?

I casi di violenza di genere e di violenza sulle donne sono in drammatico aumento. Nei primi tre mesi del 2021 parliamo di 8.000 telefonate, con l’84% di nuove segnalazioni rispetto alle violenze, domestiche e non. Le chiamate al 1522 sono cresciute del 38% rispetto al 2020, anno in cui si era già segnalato un picco delle violenze fra le mura di casa, a causa del lockdown. 

Come sappiamo bene però, quando la violenza avviene in strada è sempre prima l’ambulanza che interviene. Quando invece la violenza avviene fra le mura domestiche, l’intervento dell’ambulanza è meno frequente, perché il persecutore porta di persona la vittima al Pronto Soccorso. Quando questo non avviene, ci si trova di fronte a situazioni davvero al limite, in cui i traumi subiti dalla vittima sono generalmente di media o alta gravità. 

Come si deve comportare l’operatore di centrale se sospetta una violenza?

Generalmente quando un equipaggio raggiunge il target di una violenza domestica, la centrale operativa dovrebbe avere già avuto una serie di informazioni. Questo è vero quando la violenza avviene in un civico dove sono già avvenuti casi precedenti, dove ci sono segnalazioni alla Polizia di Stato o ai Carabinieri, nel caso in cui ci sia uno storico di riferimento. In queste situazioni non è quasi mai la centrale sanitaria a ricevere la prima chiamata, ma le forze dell’ordine. E’ quindi difficile trovare delle informazioni da parte della C.O. Quando però la vittima chiama il 118 perché è la prima volta che subisce una violenza, allora gli infermieri hanno dei protocolli che permettono di riconoscere la telefonata e inquadrarla al meglio. In gergo in alcuni 118 si chiama “ordine pizza” e aiuta la vittima a fornire informazioni all’operatore senza svelare che c’è una chiamata al servizio di emergenza in corso. 

Come deve comportarsi l’equipaggio dell’ambulanza in caso di sospetta violenza?

I soccorritori però a volte raggiungono un target senza che la violenza sia stata riconosciuta o comunicata. In queste situazioni il soccorritore oltre ad una valutazione delle lesioni e dei traumi, deve cercare nel modo più discreto possibile di. portare la vittima verso il Pronto Soccorso. Un sospetto trauma cranico, un braccio da sottoporre ai raggi sono scuse generalmente adeguate, ma la cosa importante è riuscire a raccogliere informazioni dalla vittima in un ambiente protetto, separato dai familiari violenti. Il vano dell’ambulanza è generalmente uno spazio piccolo, chiuso ed efficace per questo tipo di valutazione e di approcci. Non servono mai domande dirette, se c’è stata violenza è la vittima che con il suo comportamento e le sue risposte darà le informazioni necessarie. E’ vero che non sempre ciò è possibile: la persona che ha subito violenza può avere paura di un giudizio, di nuove violenze, di conseguenze legali. Se la violenza è stata grave però la persona può sembrare disorientata e assente, motivo per il quale potrebbe rendersi necessario un ulteriore accertamento in PS, dove le cure e le attenzioni diventano più facili da portare a termine da parte del sanitario.  

Segnalare o non segnalare via radio e in verbale?

Nessuno dirà mai a qualsiasi soccorritore che è da evitare la segnalazione via radio o verbalizzata di una sospetta violenza domestica. Anzi: tutte le linee guida dicono di segnalare qualsiasi sospetto. Generalmente però è bene prendere una strada più lunga. Al telefono, con parole non direttamente collegabili, oppure de visu in camera calda del PS, ci sono dei “codici” perché la centrale capisca il sospetto del soccorritore, senza che ci sia una verbalizzazione immediata della situazione. La cosa è ancora più vera quando la vittima è a portata di orecchio. Da questo punto di vista è sempre meglio cercare di riportare le reazioni della vittima, che possono aiutare i passaggi successivi del soccorso ospedaliero a inquadrare la situazione. Informazioni che non collimano sull’accaduto (una caduta dalle scale difficilmente collima con un occhio tumefatto e un collo graffiato), una vittima che singhiozza in silenzio, un’altra persona sulla scena (uomo o donna non importa) nervosa e con risposte secche, forti, impositive, la renitenza a portare la vittima in Pronto Soccorso possono essere segnali di cui tenere conto. Ma non sono prove. Prima di avviare un percorso è quindi necessario mettere la vittima a proprio agio, nelle condizioni di maggior protezione possibile, che le consentiranno di aprirsi e di confermare una eventuale violenza. 

Va sempre ricordato che il soccorritore non è un agente di polizia, non è un medico e, soprattutto, non è un giudice.