Il paziente che ha subito un grave incidente traumatico non sempre può essere ospedalizzato rapidamente nella struttura più avanzata della Regione. Ecco perché in Toscana è nata l’idea della sosta tecnica. Cos’è e come funziona?
BOLOGNA – Il Trauma Update di Bologna è stato un grande momento di confronto sull’approccio ai pazienti critici che devono essere soccorsi con le procedure migliori possibili, nei tempi minori possibili. Grazie ai workshop e alle attività di simulazione volute dal team Trauma del 118 di Bologna – capitanato dal dott. Carlo Coniglio – è stato possibile affrontare e approfondire le tecniche REBOA e l’uso del sangue e del fibrinogeno in ambiente extra-ospedaliero. Ma a tenere banco durante il congresso vero e proprio sono stati tanti altri temi fondamentali per la gestione delle patologie connesse al trauma.
La sosta tecnica: un approccio utile nell’Italia clinicamente “rurale”
La sosta tecnica è una di queste tematiche. La procedura – che si applica nel percorso di soccorso dei pazienti traumatici in aree rurali – è preziosa quando la centralizzazione diretta nel trauma center di riferimento non è possibile. In queste situazioni si preferisce puntare all’ospedale secondario di riferimento, per migliorare la stabilizzazione del paziente, prima di puntare alla sala operatoria più competente e tecnologicamente avanzata.
Qual è la sfida da vincere con la sosta tecnica?
I primi a sperimentare la sosta tecnica in Italia sono stati i centodiciottisti della Regione Toscana: “Per noi è la sfida dei sistemi di soccorso inclusivi nel sistema trauma che vogliono ospedalizzare nel modo corretto” spiega Giovanni Sbrana, anestesista rianimatore del 118 Toscana sud-est diretto dal dottor Massimo Mandò. “Dobbiamo concentrare i casi in pochi grandi centri per mettere a disposizione dei pazienti tante buone tecnologie e professionisti con tante skills allenate”.
Maggiori valutazioni, ma anche più governo del sistema sanitario
“L’obiettivo è idealmente – per tutti i pazienti – la centralizzazione primaria. Non sempre è possibile, lo sappiamo. Sia per competenze che non sono altissime sul territorio, sia perché le distanze sono grandi”. Cosa fare quindi quando non c’è l’elisoccorso, o non c’è la possibilità di centralizzare in pochi minuti? “Con pazienti non totalmente stabilizzati è pericoloso rischiare lunghi tragitti, sei in condizioni precarie” continua Sbrana. “Del resto, optare per la centralizzazione secondaria abbiamo visto che nel territorio rurale dilata i tempi in modo incredibile. Oggi tanti sistemi di soccorso ritengono fattibile il pit-stop. Ci devono essere una serie di competenze di base fondamentali sul centro periferico, migliori di quelle che posso esprimere con il sanitario sulla strada”. Questo cambia il punto di vista del percorso sanitario: “Magari sono riuscito a fare intervenire solo un mezzo di base o uno intermedio. Con la sosta tecnica posso fare qualche valutazione in più, al caldo, in luogo protetto, con tecnologie migliori e proseguire velocemente per il centro di specialità più vicino. Ma ho guadagnato competenza clinica durante il tragitto, senza fermarlo. Questo ovviamente richiede addestramento, legame di rete, organizzazione puntuale fra strutture 118 e ospedaliere. Ma soprattutto serve governo clinico”.
Quale organizzazione è fondamentale per questo governo clinico?
“Ci vuole esperienza dei medici, degli infermieri, dei soccorritori, delle TIA e dei PS. Il problema è l’addestramento in partenza, ma poi c’è una visione che tutti devono condividere. L’obiettivo del paziente è chiaro: ma noi dobbiamo sapere quale è la strada che il paziente deve seguire. Se non so la strada, qualsiasi rotta io prenda sicuramente arriverò in ritardo, o non arriverò del tutto. E so già che il fattore temporale per noi è fondamentale. Se io so che la sosta tecnica è uno stop verso il centro trauma di specialità, forse sappiamo che la strada è importante e ci posso arrivare con maggiore tranquillità.
Su che base posso diffondere la procedura della sosta tecnica?
“Bisogna chiudere il cerchio” continua Sbrana. “Devo analizzare tutto, capire nel sistema quali sono stati gli elementi critici, quali professionisti non avevano la visione giusta. Poi però devo poter correggere nel tempo e per questo serve governo clinico. Deve essere il sistema sanitario che muove i passi giusti e da una direzione. Oggi purtroppo i dati non sono così facili da reperire. La Toscana ha già sistematizzato dal 2016 la sosta tecnica, adesso anche l’Emilia Romagna e la Sicilia stanno lavorando su questo tema”. Fornire un dato univoco basato sui dati però è difficile. “Le variabili sono migliaia. Noi abbiamo guardato un po’ i nostri dati di stop, e i risultati. Abbiamo cercato di capire quali variabili sono controllabili ma i rivoli delle valutazioni si perdono, come è naturale che sia visto che anche l’injury severity score non è facile da calcolare. Però con la sosta tecnica abbiamo visto che i tempi di management si contraggono rispetto all’ospedalizzazione corretta in un centro trauma maggiore. E questo è sempre un fattore di grande importanza per migliorare gli outcomes del paziente. Solo così sappiamo che la strada da seguire è quella giusta”.