I protocolli operativi – in tutto il mondo – si devono basare sulle linee guida internazionali, universalmente riconosciute. Ma in Italia può non essere così. Parliamo del caso di Taranto, e cerchiamo di capire perché un 118 dice ai suoi infermieri di fare le cose in modo diverso dagli altri.

La notizia è semplice: Il 118 di Taranto ha pubblicato dei protocolli operativi con informazioni difformi rispetto a quanto dicono le linee guida internazionali. Gli errori su cui ci concentreremo in questo articolo sono tre:

  1. Nonostante l’obiettivo di medicalizzare al 110% tutte le ambulanze d’Italia, Taranto fatica a mantenere attivo almeno un medico per tutto il distretto;
  2. La gestione dei farmaci nei pazienti acuti (arresti cardiaci, tachicardia e STEMI) è quantomeno differente dalle linee guida internazionali;
  3. Il subordine dell’infermiere al medico, nello specifico con l’istruzione di “dettare” in centrale la situazione, per ottenere nulla osta operativo sui protocolli;

Obiettivo medicalizzazione del 118? Fallito

Prima di parlare di protocolli infermieristici è necessario inquadrare questa situazione. Per il 118 di Taranto i protocolli servono per “la gravissima carenza di personale medico SET118 che sono lo standard minimale di medicalizzazione del sistema” tanto che su Taranto da diverse settimane non ci sono in assoluto medici da mettere in ambulanza. Una situazione critica, che il 118 risolve con i protocolli. Non si capisce però come sia possibile che il direttore della centrale, Mario Balzanelli, contasse 422 “camici bianchi” nel 118 pugliese a fine gennaio (Fonte Corriere del Mezzogiorno). La situazione è sicuramente frustrante, perché proprio la SIS118 presieduta da Balzanelli punta a mettere un medico in ambulanza almeno ogni 60.000 abitanti. La sola provincia di Taranto ne ha più di 600 mila. Il nuovo protocollo cambia radicalmente rotta: “Con la presenza del medico nella Centrale Operativa 118 si può medicalizzare da remoto TUTTE le postazioni del SET118” si legge nel documento.

Inesattezze nelle procedure ALS: Perché Taranto non segue le linee guida?

La “medicalizzazione da remoto” significa in realtà attivare un processo banale in tutto il mondo: i protocolli infermieristici. Si tratta di schede operative che – con chiari segni e sintomi – il soccorritore è abilitato ad eseguire a seconda del suo grado di preparazione. Ci sono protocolli per i soccorritori non sanitari e protocolli per soccorritori sanitari. Tutti gli infermieri che operano nel settore extra-ospedaliero sono abituati a seguire i protocolli. In molti paesi non serve nemmeno chiamare il medico di centrale operativa per avvisarlo della procedura seguita. Generalmente i protocolli riguardano l’analgesia, la somministrazione di farmaci salvavita o di farmaci utili nella gestione delle rianimazioni cardiopolmonari. Da Bolzano a Palermo esistono decine di protocolli infermieristici – anche se il loro sviluppo è a “macchia di leopardo” e poco raccordato. A volte però ci sono ordini che, se non critici, non sono di certo consueti.

Perché dimezzare le dosi dei farmaci rispetto alle linee guida?

La particolarità di Taranto è la seguente: i farmaci previsti dai protocolli internazionali non sono rispettati. IRC e AHA dicono che in caso di arresto cardiaco in FV/pTV, dopo 3 shock è necessario somministrare 300 mg di amiodarone e poi dopo 5 shock altri 150 mg. A Taranto è concesso all’infermiere somministrare 150mg, diluiti in soluzione glucosata, dopo il terzo shock. Oltre a questa ci sono altre incongruenze, prima fra tutte l’uso di atropina, che nel mondo è riservato al peri-arresto in caso di bradicardia, e a Taranto invece è disponibile anche in caso di arresto cardiaco improvviso.  Il sospetto – visto che comunque l’infermiere deve dettare alla centrale quello che sta succedendo – è che ci sia paura nel dare protocolli internazionali agli infermieri: Forse… perché potrebbe emergere che per seguire i protocolli non serve essere medici?

Ma le responsabilità dell’infermiere non sono minori di quelle del medico…

Alla fine si ricade quindi sempre nella vecchia logica dei ruoli, dove il medico è il capo assoluto, tutore luminare della scienza clinica, e l’infermiere è il servo che deve passare i ferri e pulire i pazienti, concezione ampiamente superata dalla legge oltre che – appunto – dalla ricerca clinica. A livello legale infatti gli infermieri sono soggetti alla legge Gelli, al proprio codice deontologico, e forzatamente alle linee guida internazionali. Se il professionista sanitario non può usare una linea guida internazionale, il rischio che corre a livello giuridico non è trascurabile. Come riporta anche Assocarenews, “gli infermieri pugliesi lamentano l’assenza totale di protocolli e procedure atte a tutelare non solo chi somministra senza prescrizione scritta, ma soprattutto l’incolumità dei pazienti, che restano al centro delle cure”. Discostarsi dalla normalità dei protocolli è possibile in casi di pazienti che non rispondo alla terapia universalmente riconosciuta. Proprio in queste situazioni – all’estero – è previsto il ricorso alle chiamate in centrale operativa. Se “gli esercenti le professioni sanitarie si attengono, salve le specificità del caso, alle raccomandazioni previste dalle linee guida” come è scritto nella legislazione italiana. Di certo c’è che a Taranto si stanno scatenando le polemiche.

Sulla vicenda dei protocolli il direttore Mario Balzanelli ha negato il consenso alla pubblicazione delle sue dichiarazioni.

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