Non è un editoriale semplice, quello che devo scrivere oggi. Speravo che la correttezza e la chiarezza potessero tenere lontano il mio giornale dai rischi legali che la professione giornalistica comporta, ma probabilmente non sarà così.

Sulla vicenda dei protocolli del 118 di Taranto, ho svolto – con gli amici della redazione di Rescue Press – quello che ogni giornale fa quotidianamente. Ho verificato le fonti, mi sono accertato della veridicità dei documenti, ho chiesto repliche e dato ampia possibilità di dialogo e di risposta. 

Siamo venuti a sapere molte cose. In primis che l’ordine di servizio di Taranto non è la versione definitiva. Che non è rivolto agli infermieri del territorio ma ai medici di centrale operativa. E che si, ci sono dei refusi già individuati e in fase di correzione da parte della direzione del 118 pugliese. Il nostro lavoro però è quello di darvi le informazioni complete, anche quando le nostre fonti ci negano il consenso alla pubblicazione delle loro dichiarazioni. Diamo sempre, a tutti, questa possibilità. Perché crediamo che in una comunità fatta di professionisti sanitari confrontarsi nel merito delle questioni sia fondamentale. A volte però si preferiscono altre strade. Ma un giornalista – quando viene a sapere un fatto, o una visione del fatto – è tenuto a raccontarla ai suoi lettori. 

Ed ecco cosa sappiamo sui protocolli del 118 pugliese

Noi, la sera del 19 maggio, siamo venuti a sapere che in Centrale 118 a Taranto hanno visto e individuato i refusi della versione documentale che è stata messa online. Taranto – come altre centrali in Italia – non si basa solo sulle linee guida IRC ma anche su quelle pubblicate dalla American Heart Association. In particolare sull’amiodarone, il 118 tarantino ha aggiunto fonti mediche dal trattato Tintinnalli del 2020. Siamo venuti a conoscenza che la situazione del 118 pugliese è drammatica. In alcuni turni la presenza dei medici non è più garantita, ed è solo questo il motivo che ha portato alla pubblicazione degli ordini di servizio che permettono di assicurare tramite le ambulanze infermieristiche terapie tempo-dipendenti ai pazienti che ne hanno bisogno. Nella nostra ricerca di come siano andate le cose, possiamo dirvi che abbiamo scoperto che gli errori (l’uso dell’atropina, in particolare) sono stati ammessi e corretti in una versione successiva dell’ordine di servizio. Ma purtroppo possiamo dirvi anche che certe dinamiche rimangono ancora oggi le stesse. L’infermiere di territorio osserva, fa la diagnosi, mentre è solo il medico che può fare valutazione e prescrivere le terapie. Le linee guida, i protocolli sanitari per gli infermieri che dovrebbero snellire il percorso di cura al paziente in stato di necessità, non vengono visti come opportunità per velocizzare e migliorare il trattamento del paziente, ma come un telecomando, per tenere sotto controllo un operatore che, altrimenti, non sarebbe capace di seguire due righe scritte proprio per lui. 

In questi giorni abbiamo sentito parlare tanto di sinergia. Che significa operare insieme. La paura che l’operazione dell’infermiere soverchi quella del medico non l’abbiamo percepita solo su Taranto. Ci sono tante altre centrali dove i protocolli vengono spogliati delle armi più importanti per operare sul territorio. Pensiamo alla gestione dell’analgesia: in alcune realtà l’infermiere può somministrare solo paracetamolo. E qualsiasi infermiere si rende conto che – per esempio – il paracetamolo sulla (dolorosissima) rottura di una milza può essere letale. 

Anche oggi cerchiamo di rispettare la legge e la deontologia facendo un articolo completo, e un piccolo ma speriamo significativo editorale per supportarlo. Ci siamo mossi e ci muoveremo sempre a favore della libertà di espressione. Daremo tutti i punti di vista, che permettono di arrivare alla “verità” solo quando ci si confronta e si tenta di raggiungere una sintesi. Questa è una questione centrale nel 118 fin dal 1992. Le nostre pagine rimangono aperte per qualsiasi tipo di replica o di contenuto, perché è a voi lettori che ci rivolgiamo. 

Qualcuno nel tempo ha definito il giornalismo come un cane da guardia del potere. Noi non lo vediamo così. Il giornalismo è un cane guida, che guarda un po’ più in là e può avvertire sui pericoli o aiutare nel trovare strade nuove. Speriamo che i lettori – il nostro unico padrone – apprezzino questo nostro modo di lavorare. 

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