Riccardo Ristori, medico e formatore toscano con decenni di esperienza, lascia il 118: “Costretto ad andare via da un sistema che non tutela i diritti dei lavoratori”.
CECINA – Nel 2021 Riccardo Ristori, a Riva del Garda, aveva iniziato a segnalare le enormi difficoltà di un sistema entrato in crisi. Oggi, dopo aver gettato la spugna nel tentativo di migliorare il Pronto Soccorso, Ristori abbandona anche il 118 dando l’addio alla sanità pubblica, come tanti suoi colleghi prima di lui. Le sue parole e le sue emozioni sono chiare: amareggiato, deluso, dispiaciuto per sentirsi “costretto ad andare via da un sistema che non tutela i diritti dei lavoratori e da scelte sbagliate che stanno distruggendo quel che resta dell’Emergenza Urgenza”.
Fuggire dal 118 e dal Pronto Soccorso per dare un segnale
La lettera di dimissioni dall’incarico – controfirmata – porta Ristori ad affrontare un mese di turni in ambulanza e poi l’oblio. Ristori è uno dei più conosciuti e apprezzati medici dell’Emergenza della zona centro in Toscana, e non solo. Su Rescue Press ha tenuto un webinar dedicato all’annegamento, di cui è uno dei massimi esperti in tema di soccorso pre ospedaliero. Nel periodo della pandemia si è dedicato anche alle visite domiciliari tra un turno in ospedale e uno in ambulanza, in collaborazione con la Pubblica Assistenza di Cecina, quando ancora non c’era l’Usca e nessuno andava a visitare i positivi a casa. Il suo è un recesso del contratto e non una dimissione perché il dottor Ristori, come tutti gli altri medici del 118 nell’area toscana, non è mai stato assunto.
La fine dei medici convenzionati segna l’arrivo delle cooperative anche in Toscana?
“Sono entrato nel 2006 in convenzione – spiega Ristori in un’intervista-. Si tratta di un contratto farsa, in cui hai tutti gli svantaggi della libera professione ma anche quelli dei dipendenti, senza averne i benefici economici, perché siamo pagati molto meno e siamo senza tutele. Non abbiamo malattia, infortunio, assistenza legale, maternità, permessi per i figli. Come ferie pagate ci spetta un giorno al mese. Ed è ancora più incredibile che avvenga in una regione come la Toscana che storicamente ha fatto della tutela dei diritti dei lavoratori una bandiera. A fronte di un lavoro che è cambiato molto e che di emergenza ha ben poco. Vent’anni fa quando sentivi una sirena sapevi che era successo qualcosa e il giorno dopo trovavi la notizia sul giornale. Ora esci alle 4 di notte per una trentenne che è quasi svenuta a causa di una gastroenterite. Si ricorre al 118 come un taxi sanitario. Normale che perda il fascino che ha portato molti di noi a fare questo lavoro”.
Medici per le urgenze vere, infermieri per tutto il resto: è la soluzione?
“Di automediche ne sento parlare da quando sono entrato – prosegue nella sua intervista Ristori – e due anni fa, quando ho lasciato il pronto soccorso, l’ho fatto perché speravo che partisse anche a Cecina questo servizio. E invece siamo sempre a parlarne e basta. Se verrà fatta sarà per coprire la carenza di medici, non in seguito ad una reale analisi delle esigenze del territorio. Io credevo nel sistema delle automediche perché speravo che arricchisse il sistema dell’emergenza sul territorio: una automedica per coprire le urgenze vere, e le ambulanze infermieristiche per tutto il resto, interventi per i quali non serve assolutamente il medico. Ora vedremo cosa faranno realmente. Lavorare in Pronto Soccorso è massacrante, non è uguale a nient’altro. I carichi di lavoro sono uguali giorno e notte, ovvero si lavora tanto di giorno quanto di notte, salvo che nei festivi in cui si lavora molto di più. Negli altri reparti ci sono anche le stanze per i medici di guardia con i letti. Eppure lo stipendio è uguale, almeno per i dipendenti. Per chi è in convenzione come noi neanche quello, lo stipendio è la metà. E oggi, anche a causa di una mancanza del territorio che non riesce a dare risposte adeguate, tutto finisce al pronto soccorso. Quindi tanto stress, poco collegamento con gli altri reparti sia per i ricoveri che per le consulenze, zero riconoscimento”.
Il futuro: lavorare e fare formazione.
Di fronte a un mondo sanitario che non premia il merito e neppure l’impegno, ma solo chi sa gestire al meglio la copertura dei problemi, è naturale assistere alla fuga dei più giovani: “Medici specialisti in Emergenza oggi ce ne sono pochi perché 10 anni fa è stato scelto di farla fare a chi non è dell’Emergenza, mettendola sotto la Medicina Interna, quindi spesso chi esce dalla scuola di specializzazione non ha le competenze per gestirla. E quei pochi che ne sono affascinati poi si scontrano con la dura realtà e preferiscono andare altrove, dove c’è meno stress e più riconoscimento”.
“Il mio domani – continua Ristori – è fatto di sanità privata, anche se per me questo rappresenta una sconfitta. Mi occuperò di formazione, come ho sempre fatto e ancora di più, continuerò a visitare privatamente e potrò riprendere a dedicarmi alla medicina per i paesi in via di sviluppo. Andrò anche a coprire turni di 118 e pronto soccorso in altre regioni come gettonista. Qui in Toscana non esiste ma nel Nord Italia ne fanno ampio uso: Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Friuli, tramite cooperative, con ottimo compenso. E invito chi dice che questo è uno scandalo a dare un’occhiata ai contratti dei medici in convenzione, che vanno avanti per 18 anni senza alcuna prospettiva di assunzione: è lì il vero scandalo”.
Non è bastato finire un Iron Man con una tuta anti-covid…
Dopo anni di denuncia quindi l’esperienza nel pubblico finisce, senza che i semi piantati siano maturati: Le mie idee le ho dette quando ne ho avuto l’occasione, a incontri e congressi. Ma nessuno tra chi dirige mi ha mai chiesto nulla, come del resto nessuno dei responsabili si è mai fatto sentire dopo che ho firmato il mio recesso dall’incarico. Come prima cosa farei una reale valutazione dei medici a disposizione e farei dei contratti speciali a chi ha le capacità. Affiderei la formazione dei medici dell’emergenza a chi di emergenza sa davvero, perché se un medico è impreparato è difficile che scelga di restare in questo ambito. E’ vero che ce ne sono pochi, ma anche quei pochi a cui piace se ne vanno esasperati per le condizioni di lavoro. C’è un cambiamento da promuovere a 360 gradi e c’è bisogno di chi abbia idea di cosa significhi fare questa professione”.