L’infermiere è una delle professioni colpita maggiormente dal rischio COVID-19 durante il 2020. Ma la malattia ha altri pesanti strascichi. I rischi psicologici che devono essere superati da chi ha combattuto in prima linea contro il virus.

Si chiama PTSD ed è un disordine psicologico che alcune persone sviluppano dopo aver vissuto esperienze traumatiche o malattie. Spesso il PTSD è associato con scenari di guerra, con ex militari che hanno combattutto e ucciso, ma si può sviluppare in qualsiasi persona che sia stata esposta ad un evento traumatico: abusi sessuali, disastri naturali, ferite gravi. E’ stato valutato statisticamente che almeno la metà delle vittime di abusi sessuali abbia sviluppato il PTSD come un risultato dell’esperienza traumatica. Il 32% delle persone che osno state aggredite fisicalmente o picchiate sviluppa una sindrome PTSD. Questa malattia però non è solo associata al dolore fisico, ma anche ai traumi psicologici. Il 14 % delle persone che hanno vissuto un esperienza di morte improvvisa, decesso di amici o familiari, o vissuto traumi di questo tipo nel settore emotivo, può sviluppare sintomi riconducibili al PTSD.

Perché pensare a come stanno gli infermieri?

In questo momento è fondamentale pensare alla salute degli infermieri perché rappresentano il primo livello professionale di approccio al paziente all’interno del sistema di emergenza 118. Infermieri, medici e tecnici del soccorso sono la parte più sotto stress del settore, insieme anche al volontariato che in campo sanitario rimane importante componente dei soccorsi, in Italia. Inoltre, i dati statistici dicono chiaramente che sono gli infermieri che hanno subito il maggior numero di lutti durante la pandemia. Una analisi del Guardian, effettuata insieme al Kaiser Health News ha evidenziato che il numero di lavoratori sanitari che sono morti durante la pandemia è estremamente elevato fra le figure degli infermieri e dei professionisti sanitari. Delle 2.921 morti nel settore healthcare registrate negli Stati Uniti a fine dicembre 2020, 460 sono avvenute fra gli infermieri, 266 fra i tecnici e gli operatori OSS, 220 fra i medici, 95 fra i first responders. Inoltre, in 2 casi su 3 fra i decessi registrati ci sono persone immigrate, mentre le cause del contagio sono spesso collegate a inadeguati DPI indossati durante i servizi.
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I morti registrati nel settore sanitario durante la pandemia

Infermiere del 118: un ruolo da proteggere, e da valorizzare

Per questo motivo oggi più che mai bisogna porre attenzione al ruolo degli infermieri. E’ fondamentale riorganizzare il sistema dell’emergenza extra-ospedaliera per garantire a tutti i cittadini, dovunque essi si trovino, uno standard equivalente di pronto intervento. “Gli Infermieri dell’Emergenza Territoriale – spiega Roberto Romano, presidente di SIIET – sono da oltre un anno in guerra contro il Coronavirus. Alcuni di loro si sono ammalati, altri sono morti di Covid-19. Bisogna dire che in questa pandemia abbiamo visto (e ancora stiamo vedendo) di tutto. Non si può certo dire che in molti casi non abbia regnato l’improvvisazione. Eppure, viene da pensare, dovrebbe esserci gente pagata per simulare scenari di catastrofe, perché di questo si è trattato, come quella che stiamo vivendo e per trovare soluzioni gestionali e operative concrete. Al contrario i colleghi, più o meno in ogni dove, si sono trovati senza dispositivi di protezione, specie all’inizio, e senza risposte certe sul comportamento da tenere. Questa mancanza di risposte, dovuta anche ad una assoluta confusione che è discesa giù fino dalle principali società scientifiche internazionali, ha in molti casi portato ad un senso di smarrimento generalizzato che in alcuni casi è sfociato anche in panico. SIIET ha creato fin da subito dei gruppi di lavoro specifici per cercare di raccogliere le principali evidenze disponibili in dei documenti fruibili. Abbiamo scritto documenti, ad esempio, sull’uso dei presidi per ossigenoterapia, per la sanificazione. Questi documenti ci pare siano stati accolti con favore dai colleghi e anche da alcune aziende sanitarie che li hanno utilizzati in maniera operativa. Anche l’assenza di supporto di tipo psicologico, strutturato, si è fatta sentire. Molti enti, si sono attivati per supplire a questa mancanza. Anche in questo caso SIIET ha fatto la sua parte attivando uno sportello di ascolto psicologico per i propri iscritti che, quasi subito, abbiamo poi allargato anche ai non iscritti. Ovviamente queste sono soluzioni tampone. La realtà è però che, basandoci sulle molte segnalazioni che abbiamo ricevuto da molte parti d’Italia, in molti casi è regnata la confusione. In questi eventi, seppure abbastanza inattesi e poco prevedibili, non possiamo permetterlo e, credo, alla fine di tutto sarà opportuno fare una grossa riflessione su tutto ciò che non ha funzionato”.