Guido Ferrero, infermiere di Elisoccorso del 118 di Torino e soccorritore alpino, spiega quali sono le regole del gioco in un intervento critico in ambiente impervio.
Per evitare che un soccorso in montagna o in grotta diventi un gioco d’azzardo i soccorritori devono sempre avere quattro carte di buon livello da giocarsi: un buon metodo di valutazione della scena, un approccio mentale che anticipi i problemi dello scenario, una formazione continua che tenga rinfrescate le conoscenze dei protocolli, e un bagaglio di esperienze – proprio o altrui – a cui fare sempre riferimento. Parliamo di soft skills che non sono comuni da apprendere, ma che al SAI 2021 (evento della SNAMED, scuola del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino)sono state al centro dell’attenzione per formare il soccorritore alpino sanitario del futuro.
L’approccio al soccorso alpino
La relazione di Guido Ferrero – infermiere di elisoccorso del 118 di Torino – da questo punto di vista è stata davvero interessante: “Partecipare al SAI – spiega Ferrero – è sempre un piacere e una crescita da qualsiasi punto di vista, sia come uditore che come docente. Il confronto in questi casi è sinonimo di crescita.In situazioni dove si parla di soccorso in ambiente impervio, l’esperienza racconta di come le regole del gioco cambino a seconda dell’ambiente, a volte rapidamente”.
Cambia lo scenario, ma cambia il paziente?
“No, il paziente è sempre similare negli approcci, seguendo i protocolli. Ma il contesto è diverso, bisogna andare a registrare il tiro dando priorità a cose che in altri ambienti magari non sono priorità”. L’attenzione alla temperatura corporea, i problemi legati ad una immobilizzazione completa quando bisogna passare attraverso forre o gallerie estremamente piccole, le condizioni meteo quando si effettua un recupero in parete. Si parla di questo, giusto? “Si, la valutazione dello scenario è estremamente importante ed estremamente complessa. Ci sono alcuni punti da tenere a mente. E tutto parte dall’attenzione che si pone nella raccolta delle informazioni. E’ qui il primo passo. Ogni sanitario si fa “un film” una valutazione della cinematica di un trauma, per esempio, per avere già informazioni sul paziente senza aver ancora visto il paziente. Per mettere in fila quali parametri rilevare per primi. L’anticipazione è importante in montagna come in grotta, le informazioni che abbiamo ci danno un quadro e ci suggeriscono quale potrebbe essere il problema principale da risolvere. Che, come sappiamo, non è quasi mai sempre lo stesso. Se sono in una grotta ci metterò ore, o giorni per uscire. Se il ferito è in parete, sarà difficile e complesso venire via”.
Valutare per la sicurezza, poi per il paziente
Ad ogni modo, qualunque sia la chiamata su cui intervenire, al primo posto c’è sempre e solo la sicurezza: “E’ lo step principale che deve, diciamo così, armonizzare il soccorso. C’è la sicurezza di chi va a operare e la sicurezza del paziente stesso. A volte bisogna prendere la decisione di fare pochissime manovre sul posto, spostare il paziente perché è prioritaria la condizione di sicurezza, e poi pensare alla valutazione medica. Non c’è scritto nei protocolli, ma dobbiamo sempre pensare che c’è un costante equilibrio/disequilibrio fra le condizioni, la leadership tecnica e la leadership sanitaria su uno scenario non sicuro. Si lavora sempre sul contesto della sicurezza, che non sarà mai al 100%, ma bisogna ridurre al massimo il rischio residuo. E lo si riduce conoscendo le criticità del contesto in cui si opera, anticipando i problemi.
Lo stress e il trabocchetto della conoscenza
C’è poi il tema dello stress, che non è indifferente. Ricevere una chiamata per intervenire in ambulanza, quando magari si è in turno e davanti ad un tavolo, è diverso rispetto al ricevere una chiamata quando sei a casa. “E’ vero, la chiamata alle 2 di notte mentre dorme o all’ora di cena quando mangi con la tua famiglia è un classico degli interventi di soccorso alpino. Il capostazione ti tira giù e bisogna andare. Lo stress c’è ed è indubbio. Sappiamo però che questo lavoro obbliga a uscire da una situazione di comfort e operare in una zona che amplifica le necessità di attenzione, e quindi lo stress collegato. Come si può abbattere lo stress? Noi crediamo che si possa fare mantenendo la formazione continua nel tempo. “Chi non si forma si ferma” si dice spesso, e nel nostro contesto è davvero un detto importante, sentito e reale. In più per ridurre gli stress bisogna conoscere l’ambiente all’interno del quale si va a operare. L’unico modo di soccorrere bene in montagna è frequentare spesso la montagna. Avere un’attività che fuori dalla divisa ti possa aiutare ad avere competenze che ti possono essere utili quando la divisa la metti, risulta molto utile. Anche questa è competenza, e deve essere sempre tenuta aggiornata, altrimenti diventa preconcetto. L’unico modo per sapere come operare in ambiente alpino è viverlo. Poi ci sono tutte le informazioni da conoscere sulla valutazione del paziente, fra le quali l’aggiornamento continuo aiuta a lavorare più serenamente. La fiducia reciproca si basa anche su questo e aiuta la tua squadra, e anche il paziente.
Il segreto è anticipare?
“L’anticipazione è una strategia vincente nel pre-ospedaliero, da sempre. Il famoso “guardare un metro avanti ai propri piedi” quando si cammina in montagna. Quando arriva il problema sai già come affrontarlo, hai già deciso dove mettere i piedi, e hai già una via d’uscita. Se lo fai, hai già iniziato a pensare al piano B. L’emergenza pre-ospedaliera è ricolma di piani B. Perché serve una forma-mentis che abbia già iniziato a ragionare, spesso partendo in un modo e pensando ad un contesto, dove te la giochi con quello che sai fare, il materiale che hai a disposizione, e le condizioni del paziente. Ma se vuoi avere pronto un piano B, devi maturare con le carte di formazione, addestramento, ed esperienza”.