Durante il SAI 2021 è stato presentato un nuovo modello di formazione della SNAMED, dedicato ai soccorritori alpini e agli ambienti più impervi. Unisce il PHTLS ad uno schema mentale tipico dei soccorsi remoti. Scopriamo di cosa si tratta.
La SNAMED è la scuola nazionale di medicina del Soccorso Alpino. Si tratta della realtà che ha il compito di formare medici, infermieri e soccorritori con le competenze sanitarie necessarie a svolgere un soccorso in alta montagna. Aiuta quindi il personale ad effettuare interventi in zone difficili, scarsamente accessibili, con rischi per la sicurezza molto spesso elevati. Una serie quindi di stress e di problemi che mettono a repentaglio l’approccio sanitario, che può essere sacrificato a fronte di una situazione scarsamente sicura.
Nel tempo la SNAMED si è specializzata, tanto da riuscire a realizzare – in collaborazione con NAEMT Italia – un corso specifico per l’approccio al trauma, che unisce le competenze certificate PHTLS alle skills esperienziali dei soccorritori alpini. Questa unione si è tradotta nel corso PHTLS Mountain, che è iniziato nel 2021 dando già alcuni interessanti frutti. Ne abbiamo parlato con Enrico Molineris e con Alberto Adduci.
“Il soccorso alpino – ha spiegato Adduci, presidente NAEMT Italia – è il classico esempio dove contano più i principi più che le procedure. Poter adattare quello che uno sa in contesto inusuale fa si che si mettano in atto dei principi senza essere legati ad automatismi, a procedure consolidate. E’ necessario sempre reinventare il soccorso, in base al tipo di ambiente in cui ci si trova”.
Queste difficoltà possono sembrare alla base della nascita del PHTLS, capace di adattarsi in tanti contesti?
“Non proprio. Dobbiamo calcolare che il programma PHTLS nasce negli USA con figure di soccorso che sono diverse da quelle italiane. E’ un corso che ha caratteristiche di versatilità tali da poter essere adattato in qualunque contesto. Proprio perché non si ragiona per protocolli standard, ma per principi, usando il pensiero critico, il ragionamento, si può modulare sugli scenari. E’ un’arma in più nel bagaglio del soccorritore. Le competenze dei ragazzi che frequentano questi corsi sono alte: sono professionisti in gamba, riescono ad applicare le competenze sanitarie declinandole in contesti inusuali o disagiati. Di volta in volta, la SNAMED, si sta attrezzando davvero con competenze avanzate, addestrando i propri iscritti in modo attivo, aggiornato ed efficace”.
Il perché sia stato effettuato un lavoro in collaborazione proprio con NAEMT lo spiega meglio l’anestesista rianimatore della SNAMED, Enrico Molineris, che ha presentato il corso Winter Mountain Rescue.
“Innanzitutto affrontiamo sempre un ambiente ostile, perché è difficile, e a volte anche remoto, quando ci vogliono ore per raggiungerlo se l’elicottero non può volare. E’ necessario maturare un bagaglio culturale forte per sapere che manovre salvavita possiamo fare sul paziente. Che supporti ci servono? Quali supporti anche farmacologici possiamo mettere per dare migliori chances di sopravvivenza? E’ un modo di ragionare diverso. Non siamo in extra urbano, non c’è l’ambulanza, non abbiamo tutti i dispositivi necessari. Bisogna prendere delle decisioni, assumersi responsabilità e bisogna trattare con ciò che si ha a disposizione, che è sempre poco”.
Proprio sul materiale, la scelta di cosa avere con sé diventa critica: cosa prediligere?
“Per quanto riguarda il materiale bisogna distinguere, sempre. In montagna si distingue prima di tutto fra intervento con elicottero o a piedi. Con la macchina possiamo avere tempi brevi e materiale anche in zone impervie. A piedi è invece un grosso problema, diventa un intervento remoto. Se vado a piedi devo fare una scelta perché nono ho gli sherpa. Mi devo portare materiale strettamente necessario per trattare il paziente, oltre al materiale personale, per l’autosufficienza o l’auto-protezione. Lo zaino non è enorme. Ci serve proteggere la nostra autonomia, e tutta la parte sanitaria per gestire il politeama in ambiente.E’ una scelta essenziale, sia in termini di device che in termini di immobilizzazione e di farmaci, anche banalmente di liquidi che possono servire per trattare il paziente.
Perché avete scelto di collaborare proprio sul PHTLS?
“Noi siamo autorizzati come centro formativo NAEMT e facciamo PHTLS come soccorso alpino. Per questo motivo offriamo un corso leggermente diverso, fatto da 2 giorni di PHTLS e un giorno su scenari in ambiente. Abbiamo aggiunto una parte dedicata solo alla montagna e completa un po’ quello che ci serve, grazie al PHTLS che è il gold standard del soccorso extra ospedaliero. Facciamo riferimento a questo, e alla filosofia NAEMT, perché c’è un pensiero critico collegato alla gestione del paziente in zona complessa. L’invito che facciamo ai nostri volontari è di continuare aggiornamento e formazione. Da quando faccio questo mestiere ho visto e constatato che la scienza è in continua evoluzione. Quello che facevamo 20 anni fa, come riempire i pazienti di liquidi, oggi è impensabile, non lo facciamo più. Su un trauma emorragico abbiamo visto che è controproducente, peggiora il sanguinamento, peggiora la temperatura, peggiora la coagulazione del paziente. Dal momento che il pensiero è in evoluzione, anche la nostra pratica in ambiente lo è. Bisogna continuare a formarsi per dare il meglio. Ricordiamoci che noi diamo un contributo per salvare la vita a questi pazienti”.