Siamo sempre focalizzati sul tempo che si “perde” durante una telefonata con il 112 e il 118. Ma siamo sicuri che sia quello il tempo da comprimere, per fare arrivare il prima possibile i soccorritori sul target? Dove si trova realmente il tempo recuperabile, nella catena di un intervento di emergenza pre-ospedaliera?

Quanto tempo si può risparmiare per un intervento sanitario dal momento della chiamata fino all’arrivo dei soccorsi? Questa è una delle domande – semplici, anzi, semplificate – che il cittadino e la stampa si fanno da sempre riguardo al complesso lavoro del soccorso sanitario extra-ospedaliero. In una società che non ha più tempo di aspettare, che vuole tutto, subito, e soprattutto in grande disponibilità, il lavoro e l’attività dei soccorritori sanitari risulta sempre più stressante e complicata. In questo lavoro però c’è una fase di studio, di analisi e di miglioramento che continuamente cerca di lavorare per far si che l’aiuto in caso di malore urgente arrivi davvero il prima possibile. Ma dove, e come, si possono ridurre i tempi per portare l’intervento al paziente in modo rapido e senza rischi?

Primo: l’evoluzione delle Centrali Operative

Il primo tassello – su cui si scatenano da sempre molte polemiche – è la risposta del numero unico delle emergenze, il 118. Da pochi anni in Italia a questo numero si è anteposto il numero unico delle emergenze NUE112. Un numero che mette insieme tutte le richieste di aiuto che arrivano nelle varie realtà, e che ha l’obiettivo di massimizzare l’invio delle risorse in base alla necessità esposta. Hai bisogno dei Vigili del Fuoco perché sei in una casa che brucia? Nello stesso momento possono vedere la tua scheda di chiamata anche il 118 e il 112, così sanitari e Forze dell’Ordine possono intervenire nel caso in cui sia potenzialmente utile la loro presenza in loco. Il NUE112 è un enorme vantaggio sotto questo punto di vista, e anche da quello organizzativo. Miglioramento della tracciabilità del chiamante, dei flussi di informazione, dei filtri sulle chiamate improprie e infine – forse più di tutto – delle potenzialità di filtro. Non sarà più il 115 a rispondere alle 200 telefonate per lo stesso incendio di sterpaglie, dovendo tenere una sala operativa ricolma di Vigili del Fuoco abilitati allo spegnimento di incendi. Ci penserà il 112 a fare da filtro e a coordinare il passaggio delle informazioni.

Secondo: come monitoriamo i tempi in Italia

In Italia però il dato che noi monitoriamo, è un dato molto ampio, che tiene conto del percorso che intercorre fra l’allarme e l’arrivo dei mezzi sul target. E’ una metrica che viene usata anche in Inghilterra, e che è spesso frutto – anche lì – di numerose polemiche. Ma questi tempi, nella media delle Regioni, possono sembrare davvero elevati, anche se nella realtà non è così. Non si tiene conto nel conteggio dei LEA della differenza fra urbano e interurbano. Senza pensare all’orografia di ogni Regione, non potremmo catalogare correttamente il lavoro svolto in Liguria, dove la mediana di intervento è sui 14 minuti, e la Basilicata, dove la mediana oggi è sui 26 minuti per un intervento. Certamente, un tempo di intervento medio alto è indice di qualche problema da risolvere. Ma come? E in quale direzione?

Il tempo “perso” durante la telefonata? una visione distorta della situazione

Da tempo infatti la una battaglia per rendere migliore il 118 si sofferma sulla risposta della Centrale Operativa. Il filtro del 112 viene visto da alcuni come un blocco e una perdita di secondi preziosi per andare a salvare la vita di un paziente. Un ragionamento che – in un discorso fatto di minuti – è perfettamente logico. Ma quando i minuti complessivi superano i 14, fazioso. Si, perché in realtà le centrali 112 e 118 non fanno da filtro, ma da primo servizio di risposta e di soccorso. Dove la Centrale 118 ha alle spalle un 112 che fa filtro e migliora il flusso delle chiamate, è possibile attivare – come già avviene da tempo – le cosiddette istruzioni pre-arrivo. Non si permette di arrivare prima agli equipaggi, ma si migliora il lavoro dell’infermiere 118, perché può essere il primo operatore sul campo che ascolta e da indicazioni di trattamento (listen & treat). Le IPA (istruzioni pre-arrivo) in questo contesto stanno rivoluzionando il 118 in Italia, anche se è da troppo tempo che si chiedono protocolli validati per tutte le realtà.

Il reale momento di crisi: il limbo

Cosa si può fare quindi per ottenere dei risultati migliori dal punto di vista del tempo di attivazione sul paziente? In molti, moltissimi casi, è necessario rendere più stretta la collaborazione fra 118 e rete dei by-standers. Quelle persone che hanno maturato una anche minima formazione in massaggio cardiaco, first aid e gestione delle emorragie massive, dovrebbero essere inserite in un sistema unico di allerta. Ciò che succede con l’app DAErespondER dell’Emilia-Romagna è un percorso con una chiara efficacia. Se su un arresto cardiaco viene effettuato il massaggio dai primissimi minuti, e magari anche la defibrillazione,  la possibilità di salvare una vita migliora in modo marcato. Se allo stesso modo il 118 potesse attivare per le emergenze maggiori i soccorritori più vicini, si potrebbe incrementare – anche se di poco – l’efficacia dei soccorsi. Ma quello che sembra essere l’arma vincente nel miglioramento degli interventi è il posizionamento in una griglia efficiente di tutte le risorse disponibili. Non si spiega altrimenti la capacità di Regioni come Lombardia, Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna di ottenere tempi di arrivo sul target dei mezzi sotto i 16 minuti. Dividendo gli interventi in area urbana e area extra-urbana, sicuramente otterremmo dei risultati in linea con il dettame del DPR del 227 marzo 1992, cioè i famosi 8 minuti per l’area urbana e 20 minuti per quella extra-urbana. Ma questi tempi potrebbero essere compressi?

Come gestire una partenza “intelligente”?

I tasselli che potrebbero davvero rendere questi interventi più rapidi sono fondamentalmente tre: la tecnologia, la preparazione del personale tecnico, e le risorse. Si potrebbe parlare di ambulanze in pronta partenza, con connessioni wireless che permettano di avere già caricato su tablet e GPS il percorso migliore per raggiungere il target. Si potrebbe parlare di autisti-soccorritori formati con maggiore efficacia e attenzione rispetto alla guida e alla cartografia locale. Oppure di un numero maggiore di mezzi rapidi di primo intervento, come le moto-mediche che ancora oggi non hanno preso il loro giusto ruolo nei soccorsi e nelle attività del 118, se non in sparuti comuni di test. Certamente, è importante aumentare la velocità di risposta del 112 e del 118, con una grande formazione degli infermieri e dei tecnici per dare risposte efficaci subito. Ma lo è anche fare in modo che il tempo di arrivo dell’ambulanza sia parificato in tutta Italia, dove ancora oggi ci sono zone del Paese dove il valore medio di un intervento è di 26 minuti. Certo, non dovremmo continuare a buttare fango sul nostro sistema di emergenza. Pochi giorni fa la British Heart Foundation ha duramente contestato i dati sui tempi di risposta del 999 e dell’111 (i numeri perle emergenze e per le non emergenze sanitarie in UK). NHS infatti divide le chiamate per priorità, e le chiamate di priorità 2 (che includono i sospetti attacchi cardiaci e gli aneurismi cerebrali) vedono un tempo di intervento salito a 40 minuti. Più del doppio del target previsto che è di 18 minuti. La regione con il peggior mediano di intervento in UK su questi interventi è il sud-ovest, con 56 minuti che intercorrono fra allerta e arrivo in target. Una golden hour praticamente spesa attendendo una sirena.