Un infermiere di Orbassano è stato condannato a otto mesi di carcere per omicidio colposo, poiché ha assegnato un codice errato in fase di triage e il paziente – a causa della rottura di un aneurisma – è deceduto all’interno dell’ospedale. Cosa significa questa sentenza? Quali processi dovrebbero cambiare per migliorare ogni decisione presa in emergenza-urgenza?
TORINO – Pochi giorni fa un infermiere del Pronto Soccorso dell’ospedale di Orbassano è stato condannato a otto mesi di carcere con l’accusa di omicidio colposo. L’uomo – secondo l’accusa – è colpevole di aver sbagliato il triage di accettazione relativamente a un paziente che – 7 ore dopo, sempre all’interno dell’Ospedale – è deceduto per le conseguenze della rottura di un aneurisma nell’aorta addominale. Secondo l’accusa, l’infermiere ha sottovalutato il dolore del paziente, assegnandogli un codice verde. Codice che è stato confermato nelle seguenti rivalutazioni.
L’infermiere di 35 anni condannato – difeso dagli avvocati Gino e Pietro Obert – sta incassando la solidarietà di tutti gli infermieri di Pronto Soccorso della sua struttura, e di diverse società scientifiche. E’ di queste ore la notizia che 48 operatori del Pronto Soccorso novarese hanno richiesto di lasciare la struttura. Secondo i sanitari infatti la colpa primaria di questi errori non è solo dell’infermiere che può aver commesso una valutazione sbagliata, ma del sistema di Pronto Soccorso che impedisce di lavorare migliorando la gestione del rischio e l’efficacia delle scelte all’interno di un percorso sanitario che non può essere sintetizzato, e non può diventare il macigno sulle spalle del primo infermiere che accetta un paziente all’interno della struttura sanitaria.
Su questa situazione insostenibile per il personale sanitario infermieristico e medico dei Pronto Soccorso è intervenuto anche il dottor Fabio De Iaco, Presidente Nazionale SIMEU.
Un pugno allo stomaco dei professionisti del Pronto Soccorso: “Morto dopo sette ore al Pronto Soccorso, condannato l’infermiere che lo classificò codice verde”.
“Chi conosce il Pronto Soccorso non può non percepire una profonda dissonanza tra l’evento drammatico e l’esito giudiziario” scrive De Iaco in una nota giunta in redazione. “Può l’agire personale di un singolo professionista essere l’unica causa punibile del fallimento (vero o presunto, qui poco importa) di un intero sistema? La Medicina d’Emergenza Urgenza (in questo caso il Pronto Soccorso) non può essere banalmente ridotta a un semplice atto medico o infermieristico: è organizzazione, è stratificazione del rischio, è valutazione probabilistica, è continua collaborazione interprofessionale. È un sistema complesso di ingranaggi che consente di gestire decine di milioni di accessi, richieste, visite, ogni anno. In un rapporto numerico tra professionisti e pazienti che, senza l’organizzazione, decreterebbe il fallimento immediato della disciplina”.
Il triage è l’elemento cruciale del sistema
“Senza una valutazione professionale della priorità della visita ogni Pronto Soccorso crollerebbe in un’ora – continua la lettera di De Iaco -. E per questa valutazione occorre una competenza specifica, con buona pace di coloro che disquisiscono di codici e colori senza neppure conoscere la differenza tra i concetti di priorità e gravità”.
Come è noto la competenza sul triage è dell’infermiere, che per legge si forma con specifici corsi e applica protocolli complessi, mettendosi sulle spalle la responsabilità dei flussi di Pronto Soccorso. E gli innumerevoli esiti positivi del Pronto Soccorso, quelli che, giustamente, non fanno scalpore e non finiscono sui giornali, sono dovuti anche alla continua e professionale opera degli infermieri di triage. Sono affermazioni banali per gli addetti ai lavori ma diventano necessarie quando, come in questo caso, al clamore mediatico di una sentenza corrisponde la solita ondata di commenti a discredito della professionalità degli infermieri, pronti a coprire di fango un professionista la cui responsabilità sarà comunque ancora oggetto di ulteriori gradi di giudizio.
“Va ribadito con forza – scrive De Iaco – che il triage è competenza di un unico professionista, l’infermiere. Stabilito questo, alcune considerazioni generali sono dovute, pur non volendo né potendo entrare nello specifico di una sentenza di cui attendiamo le motivazioni. Innanzitutto per definire la responsabilità del professionista è necessario rispondere a due domande:
- C’è stato errore (inteso come deviazione rispetto a protocolli e buone pratiche)?
- C’è un nesso di causalità tra l’eventuale errore e l’esito infausto?
Domande cruciali che generano altri interrogativi, tra i quali:
- C’è stata qualche decisione non conforme al protocollo aziendale?
- Le informazioni emerse durante il dibattimento erano tutte disponibili al professionista?
- Quali condizioni sono state certificate dalla visita medica (parametri, esami, ecc.)?
- Qual era la situazione di affollamento e quale traffico è stato registrato in quelle ore?
“Per rispondere a questi interrogativi è necessaria una profonda e certificabile conoscenza del mondo del Pronto Soccorso. Ma qui, per esperienza comune pluriennale, è lecito immaginare che le consulenze tecniche di cui ci si è avvalsi non siano giunte da professionisti di Medicina d’Emergenza Urgenza. Pongo una semplice domanda: nel corso del processo è stato interpellato un infermiere esperto di triage? O un direttore di Pronto Soccorso? Sarebbe logico giudicare un evento accaduto in UTIC senza una consulenza di cardiologia? O in dialisi senza un nefrologo? Tuttavia quando l’imputato è il Pronto Soccorso ogni altro specialista è autorizzato a fornire pareri tecnici. Secondo: è probabile che il giudizio dipenda da un’interpretazione rigida dei tempi d’attesa correlati al codice di triage. Ma i tempi previsti nei protocolli di triage sono indicativi: obiettivi ai quali mirare compatibilmente con la situazione di impegno dell’intera struttura. La stessa attesa di oltre sei ore per un codice verde (com’è accaduto nel caso in questione) è certamente il risultato di una situazione di affollamento, di carico di lavoro del Pronto Soccorso superiore alle risorse disponibili. Così come non è stata rispettata la tempistica d’attesa per il codice verde, perché si dovrebbe pensare che sarebbe stato possibile per un codice giallo? Terzo: il triage ha subito un’evoluzione migliorativa. Non è un caso se questa Società Scientifica ha licenziato, da anni, nuove linee guida, di concerto con la Conferenza delle Regioni, che ancora attendono di essere applicate diffusamente sul territorio nazionale. Non è azzardato pensare che con il triage a cinque livelli la priorità del paziente sarebbe stata differenziata rispetto alla moltitudine indistinta di codici verdi generata dal triage a quattro codici. E l’insufficienza del sistema non può essere imputata al professionista che applica l’unico protocollo disponibile e validato”.
Rispettare la dimensione umana della tragedia, ma approfondire la dimensione legale di una colpa che non può essere singola
Se quindi è necessario leggere la storia di questa sentenza da più punti di vista, è necessario anche rispettare la dimensione tragica di quanto accaduto alla vittima, ai suoi famigliari, al professionista condannato e ai suoi colleghi. Essere vicini e solidali con chi subisce un lutto in una struttura deputata al salvataggio delle vite è fuori discussione. “Alla morte improvvisa in Pronto Soccorso non ci abitueremo mai, e continueremo a considerarla una sconfitta” afferma De Iaco. Ma c’è anche la dimensione dell’infermiere condannato: non c’è alcuna volontà di sottrarre la categoria alle valutazioni di responsabilità del singolo professionista. Ogni volta che un sanitario effettua una manovra, lo fa eseguendo una procedura di cui conosce i rischi. Una condanna per omicidio colposo in primo grado è un peso a cui tutti sono esposti quotidianamente, e per il quale ci sono enormi conseguenze psicologiche, psichiche, familiari e sociali. Ma – secondo De Iaco – c’è un altro livello di lettura, non meno importante: “E’ pensabile continuare a ignorare l’assoluta peculiarità della Medicina d’Emergenza Urgenza? Si può proseguire a trattare l’attività di Pronto Soccorso come quella di qualunque altro reparto dell’ospedale? Possiamo ignorare ancora le enormi difficoltà attraverso le quali i nostri professionisti continuano a fornire un servizio vitale? Si può mettere ogni giorno in gioco la responsabilità dei singoli di fronte alle enormi carenze del sistema?”
La responsabilità degli enti nel portare le strutture al collasso
Queste domande portano in seno una riflessione più profonda. Quali sono le responsabilità amministrative di chi continua a strutturare i servizi di Pronto Soccorso con scarse risorse, scarsi fondi e soprattutto una perenne carenza di personale? Se davanti a tutto questo la responsabilità è solo personale e non di tutto l’ente che organizza il percorso sanitario dei pazienti nell’Ospedale, si rischia che la disponibilità futura di un professionista per un servizio insostituibile per la salute dei cittadini si azzeri. “L’importanza di questa sentenza – conclude De Iaco – è enorme: in futuro potrà fare giurisprudenza, condizionare i comportamenti, determinare la disponibilità stessa degli infermieri a proseguire in un’attività gravosa, di grande responsabilità, usurante e non valorizzata. Per tutti questi motivi, ma anche per la vicinanza dovuta a un collega in difficoltà, restiamo accanto al nostro infermiere e gli offriamo totale sostegno”.