La storia dell’inchiesta della Procura di Bergamo sui colpevoli del COVID-19 ha radici lontanissime nella natura umana.
Si tratta di soddisfare quella antica voglia di un capro espiatorio. L’irrinunciabile e immancabile necessità di trovare un solo colpevole ad una situazione talmente complessa da apparire inconcepibile.
Quello che non vogliamo sapere tutti
Nel dicembre del 2019 il mondo ha iniziato a vedere e a registrare i primi effetti della pandemia da covid-19. Nel gennaio del 2020 le notizie hanno iniziato a circolare con velocità e precisione. Nel febbraio 2020 avevamo già iniziato a prendere le prime – blandissime – contromisure. Solo a marzo, a pandemia diffuso globalmente, ci siamo resi conto dell’incubo in cui eravamo piombati: senza strutture, senza personale, senza piani d’azione.
Chi ha sottovalutato l’emergenza?
Perché, alla fine, è di questo che si parla: la relazione dell’infettivologo Andrea Crisanti evidenzia il come tutti potessero sapere della pandemia, ma nessuno volesse prendersi la responsabilità di chiudere attività produttive, bar, scuole. Una relazione che – alla luce della cronaca che possiamo trovare su internet – appare come la scoperta dell’acqua calda. Fino a quando non siamo stati obbligati a restare chiusi in casa, non abbiamo rinunciato a nulla. Dalle partite di Champions League in giù.
Cerchiamo di essere sinceri e di ricordare
Non era molto tempo fa, era febbraio del 2020. Sia chiaro, non c’è motivazione per dubitare di quanto affermato nella relazione del ricercatore. Ma addossare le responsabilità di questa immane tragedia che ha colpito il nostro Paese – come il resto del mondo – per la prima volta nella storia contemporanea, è “fuorviante”. Abbiamo chiuso tutto prima del parere di tanti Paesi, se non tutti. Anche se noi abbiamo una memoria corta, c’è internet che ci permette di ricordare e capire. Basta un dato: il piano pandemico contro il Covid-19 della World Health Organization è datato 20 marzo 2022.
Non avevamo capito. E’ successo spesso nella storia dell’uomo
Di fatto, non avevamo capito e non avevamo gli strumenti per capire. Se li avessimo avuti, le foto di Atalanta-Valencia del 19 febbraio non sarebbero così. Se la giustizia dovesse colpire tutti i responsabili, sarebbe una lotta impari rispetto ai colpevoli. Siamo tanti. Siamo tutti. Guardandoci allo specchio dobbiamo accettarlo: abbiamo preferito Barabba, ma dall’altra parte non c’era Gesù Cristo: c’eravamo noi. E oggi tanti di quel noi non ci sono più.
Adesso che sappiamo, però, dobbiamo recuperare
Chissà che – oltre al computo esatto dei morti, e dei responsabili – si riesca ora a definire un computo esatto di cosa andava implementato per risultare più forti, dopo. Quella maledetta pratica che si chiama resilienza, e che avrebbe dovuto portarci ad avere più medici, più infermieri, più servizio sanitario pubblico, più salute e meno burocrazia sanitaria. Nessuno nega che la Procura debba indagare e porsi il problema: scelte diverse avrebbero permesso di salvare anche solo una vita umana in più? Ma il giudice dovrà rispondere ad una domanda ben diversa: Era possibile fare scelte alternative a febbraio 2020? Era realisticamente possibile capire e trovare il virus del SARS-COVID-19 prima del 21 febbraio 2020, a Codogno? Era possibile fare scelte diverse di fronte alla levata di scudi e alla mancanza di strutture e strumenti che affliggono da decenni la sanità pubblica?
Non lasciate l’amaro in bocca a chi ha battagliato in prima linea
Quello che non va fatto lo sottolinea il presidente della SIMEU, Fabio de Iaco. Non dobbiamo perderci in un arido esercizio matematico:
“ammesso che sia realistico giungere a un tale livello di dettaglio e certezza, un approccio veramente scientifico non può ignorare elementi determinanti e non quantificabili, come l’incertezza e la complessità di un evento straordinario ed epocale, l’assenza di precedenti cui fare riferimento, il clima sociale diffuso, terrorizzato dal danno economico, le spinte politiche che, nessuna eccezione, ridimensionavano i rischi e condizionavano la percezione pubblica, l’impreparazione dei professionisti, l’assenza di strumenti e tecnologie improvvisamente cruciali.
Le decisioni critiche non sarebbero, appunto, critiche, se potessero basarsi su valutazioni certe, quantitativamente esatte, scevre dal dubbio e libere dall’incertezza: non si tratta di assolvere chicchessia, ma risulta impossibile giudicare e condannare sulla base di un punto di vista che appare, francamente, parziale, distorto, insufficiente. Continuiamo ad attendere che, con vero e necessario rigore scientifico, si conduca un’analisi che abbia come primo obiettivo non già l’individuazione di profili di responsabilità penale, ma la ricerca di spiegazioni per quanto accaduto e di conseguenti soluzioni per il presente e il futuro: di questo non c’è traccia nella discussione pubblica.
E poi, se davvero questo deve essere il nostro metodo per il giudizio, perché non applicarlo anche al presente? Attendo una relazione altrettanto dettagliata sul numero dei decessi, delle infezioni, degli errori che oggi sono causati dalla scarsità e dallo spreco delle risorse, dal sovraffollamento degli ospedali, dall’affaticamento dei professionisti, dall’insufficienza dei posti letto, dall’assenza della prevenzione, dalla vacuità della medicina territoriale. È quel che succede ogni giorno. Non voglio alcun processo penale ma l’attivazione dei processi – quelli sì, indispensabili – per il miglioramento di questo sistema.
Guardiamo a ieri accecati dal “senno del poi” (quelli bravi lo chiamano hindsight bias) ma non abbiamo la forza e il coraggio di guardare all’oggi e al domani con sano realismo, così semplice e necessario. Diceva Confucio che il buon senso si può ottenere in tre modi: riflessione, imitazione ed esperienza. E che il modo più amaro è certamente l’esperienza”.
Quindi, per favore, che questo processo ci spinga a cercare spiegazioni e soluzioni, non capi d’imputazione e colpevoli. Perché questa pandemia non rimanga un mistero da risolvere, ma sia una realtà da cui abbiamo tratto esperienze per vivere meglio.