Il primo maggio 1994 è stato il momento in cui una generazione di soccorritori ha visto in diretta come lavora un trauma team sul territorio. Nel weekend più nero della storia della Formula uno al centro direzionale di Imola c’era Giovanni Gordini, direttore della UOC di Rianimazione del Trauma Center di Bologna. Sul filo dei ricordi e dell’esperienza partiamo da quella domenica di 29 anni fa, per parlare di formazione sanitaria e di quanto sia importante il Trauma Update.

IMOLA – Quello sguardo pensieroso è sempre lì, a Imola. Guardando le fotografie dell’epoca, sembra l’espressione accigliata di un Senna a colloquio con Sid Watkins, dopo la morte di Roland Ratzenberger. Sabato 30 aprile 1994. Appoggiati al cofano dell’unità mobile di rianimazione del 118 di Bologna ci sono il due volte campione del mondo brasiliano e, di spalle, il medico a capo del servizio sanitario della Formula Uno. Se le cose fossero andate diversamente, forse, quell’Ayrton Senna approverebbe il modo con cui il servizio 118 di Bologna ha rapidamente messo in campo la strategia migliore per soccorrere un paziente critico dopo un incidente stradale.

Senna e quell’intervento “stradale” nel motorsport

Perché riprendere in mano un filo così complesso, a quasi trent’anni dalla morte del pilota brasiliano? La lettura parte da un dato statistico realmente unico. Soltanto Senna – nella storia del motorsport – è stato gestito con un elicottero atterrato in pista e decollato non per andare al centro medico della pista stessa, ma per andare direttamente al Trauma Center di riferimento della regione in cui si correva la gara. Nemmeno Alex Zanardi (nonostante la doppia amputazione che lo ha quasi ucciso) o Jules Bianchi (che ha avuto un trauma compatibile con una dichiarazione di morte in pista) hanno ricevuto servizi di questo tipo. E non è stato un caso. Il 1994 è all’interno di un periodo di sviluppo delle competenze non tecniche, di quelle capacità di decidere, insieme ad un sistema flessibile, quale fosse la soluzione migliore per curare il paziente, caso per caso.

Una lettura interessante in vista del Trauma Update

“Ci siamo sempre interrogati sul perché tante cose avessero generato così tanto stupore” spiega il professor Giovanni Gordini, direttore dell’UOC di Rianimazione e del 118 dell’Ospedale Maggiore di Bologna, colonna del 118 emiliano, che già all’epoca faceva parte della direzione del servizio.
“Certamente nel 1994 un incidente al pilota migliore del mondo, davanti a milioni di persone, in televisione, non passa – come dire – inosservato. Ma per noi che eravamo lì, e che tutti i giorni facevamo servizi simili, è stata una riproposizione di ciò che il sistema di emergenza deve fare. Se l’incidente fosse successo fuori dal circuito sarebbe stato lo stesso: un ferito lo vai a prendere per strada e cerchi di arrivare il più vicino possibile a lui, portando l’équipe migliore che hai a disposizione. Poi cerchi di ospedalizzarlo nel posto giusto per le sue patologie. Personale giusto, mezzo giusto, ospedale giusto. Sono le tre “R” inglesi che ci guidano e in quel contesto hanno reso particolare l’intervento. Per fortuna il sistema sanitario lo ha fatto diventare un piccolo simbolo”.

Un caso limite, in un periodo di innovazioni

Senna, di fatto, è stato un caso limite avvenuto in un momento particolare: “Si, al di là del fatto, della cronaca, è stato fatto vedere in TV che un pilota è stato trattato alla stregua di un cittadino che quel giorno avrebbe potuto avere un incidente al di fuori del circuito. Chiaramente c’erano difficoltà logistiche differenti, ma anche meccanismi che erano stati drammaticamente già utilizzati al venerdì, nell’incidente di Barrichello, e al sabato, con la morte in pista di Ratzenberger”. Incidenti che avevano messo alla prova tutta la struttura logistico-sanitaria allestita dentro al circus: “Avevamo risorse ben gestite, il servizio sanitario della formula uno era rodato da anni. Avevamo iniziato ad integrare le risorse del circus con le nostre, soprattutto sulle fast car / medical car. E dal 1986 avevamo iniziato a servire il territorio con l’elicottero, un BK-117 all’epoca. Avevamo deciso di lasciare l’elicottero in volo nei primi cinque giri per avere sempre a disposizione un mezzo avanzato. Bisogna ricordare che sul BK si potevano fare manovre che in altri elicotteri non erano possibili, come la gestione delle vie aeree in fase di caricamento”.

Quando la radio ha annunciato “Senna Tamburello. Ripeto Senna, Tamburello”.

Quella domenica è stata particolare di certo per tutti, e ha messo alla prova le soft skills di chiunque operasse in emergenza. “Io non ero sul posto perché ero in coordinamento. Stavo medicando con altri sanitari i pazienti colpiti dalle ruote delle monoposto di Lamy e Letho, volate oltre le reti di protezione. Sentii che la gara era ripresa, e poi dalla nostra radio arrivò la voce di Mauro Sacchetti che era in coordinamento. “Senna, Tamburello. Ripeto Senna, Tamburello”. Ricordo ancora la voce di Mauro che insieme a Vigna è stato uno dei fondatori del 118 di Bologna. Volai in sala controllo e ci mettemmo davvero poco a decidere che doveva atterrare l’elicottero in pista”. E’ qui che iniziano a diventare fondamentali le soft skills, che oggi sono tanto famose e forse all’epoca lo erano meno, ma contavano tanto comunque: “Da un lato sapevamo che il paziente non poteva essere trattato lì, sul posto. L’integrazione delle risorse ci permetteva di capire meglio cosa potevamo e cosa non potevamo fare. L’evento era semplice nella sua dinamica e anche nella sua conseguente esecuzione. Il malato è stato caricato con alcune manovre in corso, concluse in elicottero prima del decollo. Il BK ci consentiva di fare manovre in fase di caricamento e a bordo. Il giorno prima, per lo stesso motivo, non abbiamo usato l’elicottero sanitario del circuito. Ratzenberger era ancora più difficile da trattare di Senna, perché era un politrauma complesso. Insomma: avevamo iniziato il disegno della rete di emergenza così, insieme alla dottoressa Fiandri, a Guerra, ad Andreotti, a Vigna, proprio per dare risposte ulteriori all’evento, per dare una rete di emergenza con una integrazione HEMS adeguata alle necessità”.

La mentalità, la comunicazione, l’intesa: da Imola al Trauma Update

Tornando a quel maledetto primo maggio 1994, è forse da lì che si consolida la necessità di formarsi e di essere preparati: “La mentalità c’era già, e devo dire che il modello che ci portava a scegliere i medici per le fast car era rodato. Tutti i colleghi si conoscevano, tutti sapevano come operava l’altro. E Watkins questo lo apprezzava: era una personalità assolutamente capace e ragionevole, faceva da riferimento per tutti, piloti, team e medici. Il vedere come quei team – sulla base delle relazioni, del riconoscimento reciproco, lavorava sulla scena deve far riflettere. Le relazioni consolidate, l’esperienza insieme (anche se compressa nell’arco di 3 giorni) ci ha dato una grossa mano. Quando dal coordinamento mi sono mosso in vespa fino al Tamburello e ho incrociato lo sguardo con Watkins, abbiamo concordato le azioni da svolgere praticamente senza parlare. Lo abbiamo caricato e gli abbiamo fatto una crico, e tutti sul posto sapevamo che era quello che andava fatto. Il paziente era gravissimo e dovevamo portarlo nel minor tempo possibile nel luogo di cura più adeguato possibile.

Quello che oggi servirebbe dall’esperienza di allora

Quell’evento è inciso nella memoria di tutti i medici e i soccorritori che operano nel 118. Non è solo stato tramandato: è diventato uno sprone a gestire le cose sempre nel migliore dei modi. “Oggi c’è una manifestazione come il Trauma Update, che è arrivato molto dopo Imola. Ma ricordo bene che nei primi anni avevamo dei corsi di simulazione con Marcus Rall e Peter Dieckmann, basati sulle pratiche di psicologia applicata americana. Le NTS erano già chiare: comunicazione, riconoscimento dell’errore, efficacia, fissazione. Tutto quello che il CRM aveva da insegnarci e continua a insegnarci era all’interno di quei corsi. Ma il sistema, anche se è consolidato, deve continuare a evolvere, a migliorare. Ci era venuto in mente – quasi vent’anni fa – con gli altri trauma center, di legare fortemente la formazione a questi principi. Senza preclusioni: è bene che chi fa questo lavoro qui, sia un MEU, un centodiciottista, un intensivista, abbia chiaro il legame fra ciò che si fa dentro all’ospedale e quello che si fa fuori. E’ impensabile trattare bene un paziente complesso senza sapere quello che si fa dentro. Se non si ha una credibilità e un legame dentro al sistema sanitario, chi sta fuori fa maggiore fatica. Devi sapere come si attiva un neurochirurgo, un ortopedico, un angiografista, che il giorno prima tu sia in sala, su un elicottero o in automedica. Se tu hai già il metodo per rapportarti, agisci sul territorio sapendo che hai le competenze del tuo ospedale alle spalle. Lo snodo è lì: devi saper anticipare cose complesse che dopo finisci in Trauma Center, ma lo puoi fare a due condizioni. Da un lato che i volumi di pratica siano adeguati per darti le hard skills. Dall’altro che l’ambiente e i rapporti ti permettano di avere delle soft skills. Per noi il sangue, il REBOA o altre tecniche invasive sono metodiche intraospedaliere normali. Ma è il sapere che hai sempre un backup e un supporto “a casa” che fa la differenza. Puoi chiamare, ricevere consigli, attivare, gestire con qualcuno che conosci perché il giorno prima ci hai lavorato a fianco indossando la stessa divisa verde. Certo, nessuno è esente da errori. Ma se sei sempre tu, se conosci chi è dentro e chi è fuori con te, magari riesci a gestire meglio anche gli errori”.

Un’edizione “scaramantica” del Trauma Update

“Oggi il convegno lo fanno “i ragazzi”. Che hanno capito quali sono i riconoscimenti e quali sono le responsabilità. Credo che in questa edizione del Trauma Update abbiano colto proprio questo: oltre alla fame di rivedersi, di discutere, c’è qualcosa di più che porta ad avere già tutti i corsi pieni. Una voglia di generare cultura. Lo scambio di informazioni, di modelli, di riferimenti del Trauma Update è organizzato perché prima si agisce tramite gli eventi formativi, e poi si discute sul backup esperienziale maturato. Infine, tiri le fila. E’ un modello che credo sia positivo e, se posso, ricco. Ma questo lo diranno le persone alla fine delle giornate di convegno. Che è arrivato alla diciassettesima edizione e, al di là della scaramanzia, vuol dire che se regge ha un suo perché”.

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