Nella giornata mondiale dell’infermiere tocchiamo quello che potrebbe essere il futuro della professione nel mondo dell’emergenza sul territorio, tramite il 118 e i Pronto Soccorso. Fra mancanza di personale, maggiori responsabilità, pochi riconoscimenti e tanta, tantissima voglia di essere maggiormente preparati e coinvolti: come evolverà l’infermiere di emergenza e 118?
Tanti anni fa Ligabue cantava “Tra palco e realtà”. Quest’anno, più che mai, questa canzone si adatta alla professione infermieristica. L’infermiere è quello che “ha una faccia che non conosce” perché il pubblico in realtà vede in lui qualcosa che è diverso dalla realtà. L’infermiere visto dalla TV o dall’opinione pubblica non è quel professionista sanitario con anni di formazione e autonomia operativa. L’infermiere ha una faccia che il sistema gli ha messo “in faccia” pian piano, e non è quella che lo rappresenta correttamente.
Una professione in evoluzione: ma verso quale obiettivo?
L’infermiere è quel professionista che ha fame di sapere e di fare. Voglia di studiare, di prepararsi, di acculturarsi. Una voglia che può portare la professione ad essere maggiormente efficace nel sistema sanitario, soprattutto nel sistema extra-ospedaliero oggi senza risorse e senza riconoscimenti. Le strutture di emergenza stanno vivendo un’evoluzione organizzativa che guarda all’infermiere come punto di riferimento. Un riferimento che può migliorare la copertura del territorio e l’erogazione di cure adeguate ai pazienti, ai cittadini.
Usare l’infermiere per tappare i buchi o usarlo appropriatamente?
Eppure ad oggi non c’è questa visione dappertutto. L’infermiere del 118 ha “l’aria di chi vive a caso” e ha il ruolo di “chi paghi a peso”. 19 Regioni e due province autonome nel comitato decisionale, altre 105 province con “peculiarità”, nessuno standard nazionale. Come fare a decidere che cosa il soccorritore (sanitario o non sanitario) deve fare o può fare in extra-ospedaliero? Oggi l’infermiere viene ricordato solo quando “tappa i buchi” della mancanza di medici. Ma il mondo ci dice che i sistemi funzionano meglio quando ci sono un adatto numero di infermieri o di paramedici sul territorio. L’infermiere viene “venduto” al pubblico come un ripiego economico, da parte della politica. Ma la realtà è molto diversa e non abbiamo ancora molti luoghi dove vedere questa soluzione in Italia.
L’infermiere può spiegare quello che fa?
Ma quindi, che fare? L’infermiere del 118 non deve restare quello che non può fare, quello che “si fa spiegare come si fa” attraverso i protocolli. Quando e come può diventare quello che segue una sua formazione per ottenere una sua autonomia sanitaria? Un’autonomia per la quale risponde ai suoi superiori, ai medici, alla centrale e direttamente ai cittadini. Fino ad oggi l’infermiere ha ricevuto “i complimenti per la trasmissione” e per il lavoro svolto durante il COVID-19. Sull’infermiere ci sono almeno due tematiche che non vengono toccate:
- Indipendenza vuol dire lavorare. Lavorare vuol dire fare errori. L’infermiere è pronto per risponderne?
- Non trattare il paziente in tempo, spesso, vuol dire arrivare in PS rispettando i protocolli, ma senza vita.
Siamo ancora nel mondo in cui un politraumatizzato a 40 minuti dal DEA di riferimento può ricevere il supporto di un equipaggio BLS senza competenze sanitarie, e poi ricevere il supporto dell’equipe ALS? Non possiamo ricordare – ogni tanto – che la figura sanitaria infermieristica può essere il tassello salva-vita fra un trauma in ambiente remoto e l’ospedale?
Se i medici competenti scarseggiano, che male fa un infermiere competente?
Insomma, sono passati 170 anni dall’apertura della prima scuola infermieristica del mondo (aperta a Napoli, quella città che drammaticamente grazie alla voce di “Nessuno Tocchi Ippocrate” stiamo bollando come capitale delle aggressioni ai sanitari). E’ arrivato il momento dell’appropriato uso della figura infermieristica nel 118? Sappiamo che non ci sono né risorse né medici per il 118. I medici disponibili servono all’interno dei PS, sempre più luogo di approdo dei cittadini senza riferimenti sul territorio. I medici preparati e competenti servono nei team ALS, sempre più legati ai DEA, ai servizi HEMS e ai centri trauma maggiori. Chi mandiamo – magari a rotazione per mantenere le skills – nelle aree che diventano scoperte? Che autonomia gli diamo?
Forse qualcuno si ricorderà…
La forza dell’infermiere rimane ancora oggi la sua debolezza. L’infermiere lavora per il team, è meno focalizzato del medico sulla patologia e sul trattamento acuto (cosa che giustamente deve riguardare l’ALS). Sa gestire di più e – forse – meglio l’ambiente, e lavora con più dimestichezza e adattabilità negli scenari fuori dall’ospedale. Per quanto tempo ci sarà ancora chi non si fida, quello che “controlla ancora dietro la foto”? La speranza ancora c’è, ma che non sia la speranza dettata da un sistema che non ce la fa, e per raccogliere supporto si prodiga per dare vantaggi economici e previdenziali. Speriamo che arrivi una proposta, un segno, affinché l’infermiere del 118 diventi esattamente quello per cui era stato designato nel 1992.