Daniele Coen al Congresso ACEMC di Sassuolo ha sottolineato a Rescue Press i concetti che potrebbero tornare a rendere la medicina di emergenza-urgenza apprezzata e ricercata dai giovani specializzandi.

Guardarsi indietro non sempre vuol dire fare rimpiangere ciò che è stato. A volte può servire per capire dove eravamo prima di “smarrire la via” e individuare quei punti, quelle certezze che garantivano al sistema di emergenza-urgenza di essere una specializzazione cercata e ambita dai medici, mentre oggi è l’opposto. In una breve intervista con il dottor Daniele Coen – che per 15 anni ha diretto il Pronto Soccorso dell’Ospedale Niguarda di Milano – abbiamo potuto mettere in fila quello che prima attirava nei reparti di PS italiani i medici più “affamati” di ricerca e di situazioni cliniche in cui è la competenza a fare la differenza. Mentre oggi c’è una fuga da questi reparti, dove le condizioni di lavoro sono radicalmente mutate. Il suo contributo durante il Congresso ACEMC di Sassuolo è utile per capire e vedere meglio il futuro.

“Ormai il mondo delle urgenze ed emergenze lo osservo un po’ dall’esterno. Mi rendo conto però di quanto siamo andati avanti culturalmente, come capacità professionali e tecniche dei nostri medici. Ma anche di quanto rischiamo di perdere tutto il patrimonio culturale per i grandissimi problemi, diciamo organizzativi ed economici, che Tutti conoscono.

Noi – la mia generazione – siamo davvero partiti in un momento in cui la medicina d’urgenza era un avanzamento. I giovani medici volevano fare gli internisti in passato e poi i medici d’urgenza spesso, come prima scelta. C’era innovazione, c’era cambiamento; il problema dei posti letto e tutto quello che viene dopo – ma che condiziona fortemente il lavoro in PS – era agli inizi e per i primi 10 anni non si sentiva. Ci consentiva davvero di concentrarci sul sul nostro lavoro, sulla medicina.

Oggi il tuo soccorso è diventato purtroppo un posto che deve rispondere alle inefficienze da un lato del territorio dall’altro dell’ospedale. Chi ci lavora sente il peso di questa situazione. Sente che la qualità del proprio lavoro nonostante la forte professionalizzazione ne risente. Non riusciamo più a dare ai pazienti quello che vorremmo. E quindi si tende a fuggire da questo reparto, che resta un presidio fondamentale e anche un bellissimo lavoro per chi fa il medico”.