L’articolo statistico sul valore degli stipendi degli infermieri e il paragone rispetto alla soglia di povertà assoluta certificata dall’ISTAT pubblicato pochi giorni fa ha scatenato diversi dibattiti e reazioni. Ecco le posizioni più interessanti ricevute in redazione.

Toccare il tema dello stipendio di un professionista è sempre importante, soprattutto in un momento di rinnovamento come quello che sta vivendo il comparto sanitario in questi mesi. Firme di accordi, promesse di aumenti e legge Finanziaria danno modo a molti di raccontare lo stato delle cose, ma poi sono pochi quelli che arrivano con proposte interessanti per il futuro. Fra questi, un ruolo dominante lo hanno da sempre i sindacati. Il loro ruolo infatti è quello di difendere i lavoratori nei casi previsti dalla legge, e farli valere nei tavoli di contrattazione quando c’è bisogno di aumentare diritti e compensi rispetto alle responsabilità e ai doveri sempre più pesanti che gravano sui sanitari. 

Da sempre il settore ospedaliero è quello con sigle sindacali parecchio agguerrite. Subito dopo il nostro articolo abbiamo avuto uno scambio con Andrea Bottega, del Nursind. “Il tema delle retribuzioni  – ci ha spiegato Bottega – per la nostra categoria è un nervo scoperto a causa della disparità tra titoli di studio e attività svolte da un lato e peso effettivo della busta paga dall’altro. Prima di entrare nel cuore della questione, occorre distinguere tra dipendenti pubblici e privati, personale sanitario delle Rsa e delle cooperative e infine lavoratori a partita Iva. E’ chiaro che il pubblico impiego garantisce più sicurezza nei diritti – dalla maternità alla malattia – e nei pagamenti rispetto a molte realtà del privato o ai liberi professionisti. Ed è per questo che molti si stanno spostando dal privato al pubblico, a seguito dello sblocco del turn over e delle maggiori assunzioni per la situazione pandemica”.

Bassi stipendi, carriere bloccate: rischio emigrazione professionale elevato

Il principale problema che vive il mondo sanitario – e infermieristico in particolare – riguarda l’emergenza emigrazione dei professionisti altamente formati che dall’Italia vanno all’estero. “Attualmente gli infermieri sono tutti occupati e il sistema è in forte carenza (il PNRR prevede la formazione e l’assunzione di 75 mila unità entro il 2026 ma ne mancano 180mila per adeguarci alla media europea). Non aiuta il fatto che la professione sia poco attrattiva sia, appunto, per gli stipendi bassi e sia per una limitata possibilità di carriera. Anche nel pubblico impiego, infatti, a livello retributivo siamo ben lontani dalla media europea. Parliamo di uno stipendio lordi mensile 2.100 euro, a fronte di numerose responsabilità, molto carico di lavoro, esclusività di rapporto (che non hanno ad esempio i medici cui è consentito svolgere anche la libera professione), obbligo assicurativo, di iscrizione all’ordine e di formazione, a spese del lavoratore. Senza contare, infine, che tra le professioni sanitarie quella dell’infermiere è la più gravosa e disagiata (tra turni festivi e notturni), oltre che usurante. Sul fronte delle possibilità di carriera, invece, l’unica strada percorribile è nell’ambito della gestione del personale perché le specializzazioni clinico-assistenziali non sono ancora riconosciute (mentre all’estero sono molto in voga ndr). Dal rinnovo del contratto, guardando agli stanziamenti, la categoria non si aspetta molto: l’aumento sarà di circa 80 euro lordi mensili. La Legge di Bilancio 2021 ha impegnato una piccola cifra, nell’ordine di 90 euro lordi al mese, destinata all’indennità specifica. Si è voluto dare un segnale e un riconoscimento agli infermieri, anche se poi, in realtà, non è stato così, dal momento che la stessa cifra è stata destinata indistintamente pure alle altre professioni sanitarie. Da qui discende la mia amara riflessione: difficilmente i giovani saranno disposti a intraprendere questa professione, fondamentale per soddisfare il crescente bisogno di salute, se non si faranno passi concreti e tangibili nella direzione di una valorizzazione degli infermieri. Se, insomma, non si raggiungerà un livello di retribuzione migliore e se non si arriverà a riconoscere la professione infermieristica come autonoma, anche per quanto riguarda lo svolgimento della libera professione senza vincolo di esclusività”.

Il primato peggiore: gli stipendi più bassi con le competenze meno riconosciute

Sulla stessa linea – ma con tonalità più accese – è invece la posizione del presidente di Nursing Up Antonio De Palma: “Gli infermieri italiani toccano davvero la soglia dell’indigenza, almeno quelli che lavorano nelle nostre grandi città? Sono davvero i nostri professionisti della sanità i nuovi poveri? Gli uomini e le donne che hanno combattuto giorno dopo giorno, mese dopo mese, contro un nemico subdolo e invisibile nelle corsie degli ospedali ? Incredibile ma vero, stando all’accurata indagine Istat sulla soglia della povertà assoluta, in netta crescita, appare evidente che in città come Milano, Roma, Napoli, infermieri con una famiglia a carico, con un affitto da pagare e magari un solo stipendio, cominciano ad avere sulle proprie spalle un peso insostenibile. L’Italia è il paese europeo che vanta ancora il triste primato di uno degli stipendi più bassi in assoluto per la categoria dei nostri infermieri. Eppure laureiamo ogni anno professionisti di altissimo profilo, che corrono veloci verso  specializzazioni, Master e Dottorati, ma non siamo assolutamente in grado, come classe politica, di costruire le basi per una loro concreta valorizzazione economica e giuridica. Francia, Spagna e Germania come compensi degli infermieri ci superano, Olanda e Lussemburgo addirittura ci surclassano, con paghe che vanno dai 50mila agli 80mila euro all’anno. Noi restiamo fermi al palo, tristemente, da anni. Ma allora ecco perchè le nostre eccellenze, i nostri giovani laureati, non hanno scelta, non ce la fanno, e dopo qualche anno di precariato, nella disorganizzazione di strutture vetuste, optano sempre di più per “la via della fuga”, verso Paesi  che garantiscono un fisso mensile anche di 2500/3000 euro, e poi supporto linguistico, scatti di carriera, sostegno per alloggio nei primi mesi”.

Laureati ambiti all’estero, non tutelati in Italia

Secondo Nursing Up la professionalità e la specializzazione sviluppata in Italia è un’eccellenza assoluta nella realtà infermieristica, senza le dovute tutele: “FNOPI, l’Ente che rappresenta gli Ordini Professionali degli Infermieri a Livello Centrale e che ha il privilegio di confrontarsi con la politica ed il Governo in qualità di ente sussidiario dello Stato, in che modo fa sentire la sua voce? Cosa fa l’Esecutivo? Continua a voltarci le spalle, da ultimo con la soppressione del previo assenso dell’amministrazione di appartenenza per i trasferimenti dei dipendenti pubblici da una città all’altra, provvedimento che consentirà a centinaia di migliaia di dipendenti di ricongiungersi alle loro famiglie e dal quale, paradossalmente, sono stati esclusi proprio gli operatori sanitari, che in questo modo non potranno decidere di tornare negli ospedali dei paesi d’origine, dove il costo della vita è più basso, dove ci sono magari parenti e amici pronti a dare il loro sostegno. E se dopo aver urlato a gran voce nelle piazze italiane il nostro dissenso, per l’indifferenza della classe politica e per sollecitare un trattamento economico dignitoso . Se  dopo aver combattuto  a mani nude il mostro Covid i nuovi dati ci confermano di essere diventati addirittura i nuovi poveri,  dopo aver perso oltre 80 colleghi in un anno di pandemia, nonostante professionalità , indiscusso valore e i sacrifici profusi sul campo ,   allora vuol dire davvero che al peggio non c’è mai fine. Noi vogliamo continuare a credere che non sia così”.