Intervista con Riccardo Ristori: “Oggi il turno in PS è più difficile di una gara estrema, ma dobbiamo tornare a coinvolgere i giovani con la bellezza di questa professione”

Tutti i medici, gli infermieri e i soccorritori sanno cosa vuol dire respirare con addosso una tuta in Tyvek anti-covid. Pensate quanto si può patire a concludere una Ironman – una gara estrema con 120 km in bicicletta, 10 km di nuoto in acque libere e 42 km di corsa – indossando la stessa tuta isolante. Per lanciare un messaggio di allarme e di sostegno a tutti i soccorritori, il medico Riccardo Ristori ha concluso la prova estrema di Rimini proprio indossando una di queste tute bianche, con un messaggio molto chiaro scritto sulla schiena: “E’ più facile un Ironman che un turno in Pronto Soccorso”.

Pronto Soccorso: gara estrema senza soluzioni?

“L’Iron Man è stata un’impresa, una cosa durissima – ci ha spiegato Ristori al congresso di Riva . Finirlo è una grande soddisfazione perché ci metti un anno a prepararlo, ti studi bene quello che devi fare e poi lo metti in pratica. E’ un esercizio mentale importante dove serve il 50% di preparazione fisica e il 50% di preparazione mentale. L’ho voluto concludere con una tuta anti covid perché è un momento particolare per la medicina di emergenza urgenza. C’è un problema grosso di abbandono della professione”. 

Perché si sta desertificando il settore dell’Emergenza?

“Ho voluto fare questo gesto, con la tuta e con scritto questo messaggio, perché è vero: per arrivare all’Ironman ti prepari, arrivi sapendo cosa succederà, sai quello che stai facendo e come risolvere le situazioni. Quando arrivi in un Pronto Soccorso e inizi il tuo turno, invece, non hai idea di quello che succederà nelle successive 12 ore. La preparazione deve iniziare prima – molto prima – ma poi diventa tutto un Ironman, possiamo dire ridendo che è un Ironman che dura 35 anni”.  “Il problema  – continua Ristori – è molto importante, forse è colpa nostra – di noi medici – che non sappiamo trasmettere la bellezza di ciò che stiamo facendo. L’abbandono è un problema fortissimo. A Riva, trovandoci fra professionisti, ci siamo resi conto che questo problema c’è in ogni Regione. Nel giro di pochi mesi abbiamo tanti abbandoni o per cambi di lavoro o perché i giovani sono entrati in scuola di specializzazione, bene ma per i prossimi 5 anni non ci saranno. La nostra emergenza è la gestione dell’emergenza”.

Quali motivazioni ci sono alla base: Scarsa attenzione? Eccesso di stress?

“Ci sono tutte e due le cause. E’ innegabile che questo lavoro ha uno stress elevato, e la preparazione che serve per fare questo mestiere è grande, devi essere multidisciplinare e devi avere una concentrazione sopra la media. Fino a pochi anni fa però ci hanno sempre dato gli strumenti per restare concentrati, per ridurre gli errori al minimo, per studiare, per fare diagnosi migliori e dare terapie migliori. Adesso le cose sono cambiate, e stanno peggiorando. Il carico di lavoro è diventato troppo grande. Serve qualcosa in più a livello di risorse, e avere qualcosa in meno a livello di carico di responsabilità. E in più ci sono i pazienti, che non sono mai uguali. Sono da affrontare con un rapporto empatico, che richiede condizioni e tempistiche adeguate. Nei piccoli centri è più facile forse, nei grossi centri invece il rapporto non c’è ed è più difficile da gestire. Ecco perché il PS è molto più difficile di un Ironman. 

L’obiettivo per il futuro?

“L’obiettivo del 2022 è restare vivi nei pronto soccorso, e poi oltre alle imprese sportive, la vera impresa sarà fare gruppo e cercare di portare nuove giovani forze verso i nostri pronto soccorso”