Francesco Carè, soccorritore con una trentennale esperienza, ha racchiuso in un nuovo libro i silenzi e le riflessioni che incidono l’animo umano negli interventi più duri e dolorosi.
“Non ritengo di avere scritto un libro – spiega l’autore a proposito di Angeli Sconosciuti – mi piace pensarlo più come un diario del passato. Mi auguro che questo lavoro venga apprezzato per la sua semplicità. Queste storie ormai fanno parte di me, della mia vita, ogni singolo istante, ogni singola persona, hanno lasciato una traccia indelebile, tutte gelosamente custodite dentro lo scrigno della mia anima”. Angeli Sconosciuti ha già raggiunto un buon seguito e un ottimo numero di copie vendute.
E’ invece più forte e profonda la riflessione del secondo volume scritto dal soccorritore scaligero, Codice quattro. Gli interventi in cui invece del rientro in Pronto Soccorso c’è l’attesa del medico per le constatazioni di decesso sono pesanti, soprattutto per il ruolo che riveste il soccorritore in quel momento: un presunto baluardo della vita, sgretolato dalla forza della morte. Quello è il momento in cui il soccorritore paga lo scotto più grande, la ferita più dura.
Per questo Codice quattro è un monito a non cedere alla retorica angelica. No, i soccorritori non sono angeli. No, non possono salvare la vita di chi è ferito in modo incompatibile con la vita. E, infine, no, non possiamo mettersi in pericolo per andare a salvare una persona. Anche se questa persona è giovane. Anche se questa persona è l’unica importante per chi guarda la scena, attonita e distrutta. Anzi, a volte è il soccorritore che porta con sé le ferite più profonde, e deve tenere a mente quali segnali possano indurre la mente a cedere, per prevenirli e curarli quando necessario. La PTSD è una malattia subdola che può colpire in ogni situazione dell’emergenza, dalla grande tragedia al piccolo incidente che però coinvolge una persona amata.