Francesco Carè, soccorritore con una trentennale esperienza, ha racchiuso in un nuovo libro i silenzi e le riflessioni che incidono l’animo umano negli interventi più duri e dolorosi.

Può finire male. Lo sappiamo tutti quando saliamo in ambulanza, non è una novità. Certo, il nostro obiettivo è non vedere, non sentire, non provare nell’immediato quella che è l’emozione forte e dolorosa che ci colpisce davanti alla morte di un paziente. O all’ancora più forte e tagliente dolore di chi resta in vita e piange il proprio caro.
Non è semplice per ogni soccorritore gestire tutto questo, ed è lodevole e da sostenere l’impegno che si è preso Francesco Caré, soccorritore veronese che dal 1990 opera nei servizi di emergenza, prima come volontario e oggi come dipendente. Con grande attenzione e una prosa semplice ed efficace, Carè ha cercato di raccogliere tutto ciò che vive un soccorritore e tutto ciò che passa nella mente di una persona davanti alla morte in due libri, Angeli Sconosciuti e Codice Quattro.

“Non ritengo di avere scritto un libro – spiega l’autore a proposito di Angeli Sconosciuti – mi piace pensarlo più come un diario del passato. Mi auguro che questo lavoro venga apprezzato per la sua semplicità. Queste storie ormai fanno parte di me, della mia vita, ogni singolo istante, ogni singola persona, hanno lasciato una traccia indelebile, tutte gelosamente custodite dentro lo scrigno della mia anima”. Angeli Sconosciuti ha già raggiunto un buon seguito e un ottimo numero di copie vendute.

E’ invece più forte e profonda la riflessione del secondo volume scritto dal soccorritore scaligero, Codice quattro. Gli interventi in cui invece del rientro in Pronto Soccorso c’è l’attesa del medico per le constatazioni di decesso sono pesanti, soprattutto per il ruolo che riveste il soccorritore in quel momento: un presunto baluardo della vita, sgretolato dalla forza della morte. Quello è il momento in cui il soccorritore paga lo scotto più grande, la ferita più dura.

Per questo Codice quattro è un monito a non cedere alla retorica angelica. No, i soccorritori non sono angeli. No, non possono salvare la vita di chi è ferito in modo incompatibile con la vita. E, infine, no, non possiamo mettersi in pericolo per andare a salvare una persona. Anche se questa persona è giovane. Anche se questa persona è l’unica importante per chi guarda la scena, attonita e distrutta. Anzi, a volte è il soccorritore che porta con sé le ferite più profonde, e deve tenere a mente quali segnali possano indurre la mente a cedere, per prevenirli e curarli quando necessario. La PTSD è una malattia subdola che può colpire in ogni situazione dell’emergenza, dalla grande tragedia al piccolo incidente che però coinvolge una persona amata.

Le riflessioni di Francesco sono certamente utili per ogni soccorritore, sia volontario che professionista. L’esserci, la bellezza di fare questo mestiere, non è sempre e solo nel salvare vite. A volte è nell’essere di aiuto anche per chi sta perdendo un amore, un amico, una persona cara. E il brutto è a volte essere nel posto in cui sta succedendo una tragedia tanto grande da non poter essere compresa, tanto dura che annichilisce il cuore. La bellezza del soccorso è anche nell’essere capaci di sostenere tutto questo peso incommensurabile. E di tornare in turno il giorno successivo.
Per acquistare i libri Angeli Sconosciuti e Codice Quattro anche in formato cartaceo si può accedere al sito dell’editore.