Cerchiamo di analizzare quello che sta succedendo nel mondo extra-ospedaliero e dei Pronto Soccorso. Rabbia, divisione e incompatibilità fra richieste sono i crepacci in cui si rischia di cadere. Ecco perché il reparto più importante dell’ospedale assomiglia sempre di più ad un “aspettificio”.

Quando è stato annunciato il bonus da 90 milioni di euro per il personale che lavora in Pronto Soccorso, in redazione abbiamo iniziato a scommettere su cosa sarebbe avvenuto:

  1. Ha vinto chi ha detto: “Adesso saltano fuori quelli che vorranno il bonus anche per gli altri”;
  2. Ha vinto chi ha detto: “Adesso saltano fuori quelli che diranno che sono solo briciole”;
  3. Ha vinto chi ha detto: “Sarà difficile che la gente capisca di cosa stanno parlando”;

Avremmo preferito – tutti – che arrivasse qualcosa di forte. Vedere una risposta chiara non solo sull’aumento degli stipendi, ma anche sui tempi di riposo, sulla qualità del servizio per numero di pazienti, sulla formazione e sulle assunzioni di professionisti esteri (non è un tabù). Certo, il ministro della Salute Speranza non è di certo l’uomo amante delle telecamere e della propaganda. Nemmeno il tecnico giusto per tutto ciò. E gli assessori alla sanità di tutte le Regioni italiane conoscono bene i budget che hanno a disposizione: per loro accontentare i MEU e dare un segnale a tutto il settore potrebbe diventare un boomerang, in vista dell’apertura del tanto agognato PNRR. Insomma: attendersi qualcosa di più di un annuncio dal sapore mediatico era difficile. Ma ha fatto benissimo SIMEU a lanciare il sasso. Altrimenti sarebbe rimasto il mugugno, e non si sarebbero visti i gattopardi di questo sistema. Perché va detto: non tutti difendono i lavoratori per i lavoratori stessi. Non tutti hanno a cuore le condizioni di lavoro dei medici, degli infermieri e dei tecnici di emergenza-urgenza.

Assunzioni nei PS: orecchie da mercante sulla salute di pazienti e personale

Dall’altra parte però, è brutto constatare che sono stati pochi quelli che hanno capito appieno la dimensione del problema. No, cari colleghi giornalisti delle testate nazionali. Non mancano 4.000 fra medici, infermieri e soccorritori. Sarebbe una bazzeccola, una goccia in un mare di persone che lavorano nella sanità di emergenza-urgenza con quasi 300.000 persone in servizio, fra dipendenti e volontari. No Signori: qui mancano 4.000 medici su una base di servizio di poco superiore alle 11.000 unità. In Italia manca il 40% della forza lavoro nei Pronto Soccorso. Contemporaneamente, in Italia il numero di pazienti che accede al pronto soccorso è in aumento vertiginoso fra 2018 e 2019, figuriamoci nel 2020 e nel 2021. Per chiarire: nel 2018 una media di 75 persone ogni 1000 abitanti hanno fatto uso del Pronto Soccorso ogni trimestre. Nel 2019 sono salite a 79 persone ogni 1000 abitanti (dati ISTAT). Contestualmente i medici competenti (gli Anestesisti, perché i MEU non erano ancora riconosciuti nelle statistiche) – sempre da dati ISTAT – sono calati.

I soldi non fanno la felicità. E un medico di PS non lavora per i soldi

L’altra cosa che non piace constatare è che sembra sempre tutto risolvibile con i soldi. Ma non è vero, non in questa situazione. Il covid-19 dovrebbe aver insegnato che al primo posto nella classifica delle priorità di un essere umano c’è la felicità e la qualità della vita. Certo, lo ha scritto quel visionario di Thomas Jefferson il 4 luglio del 1766 quindi il concetto potrebbe essersi un po’ annacquato nel tempo. Però i medici non lavorano in Pronto Soccorso per soldi. Con tutto il rispetto, lo sanno anche i muri che se un medico vuole fare soldi va a lavorare in un ospedale privato, va a fare consulti e operazioni chirurgiche in altri centri, dove viene pagato molto di più e dove ha molto meno carico di lavoro, con rischi molto più bassi. Davvero pensiamo che un aumento di stipendio netto di 90 euro al mese (se fosse dato solo ai medici) cambierà la situazione?  Non è forse il caso di destinare tanti, ma tanti soldi, all’assunzione e alla formazione di personale che possa far tirare il fiato ai medici? Citazione senza fonte, condivisa da più medici di PS è questa: “Guarda, se oggi in PS arrivassero tre MET per dare i cambi ai MEU presenti, stapperemmo le bottiglie di champagne. Baci e abbracci per i più passionali”. Perché un medico non lavora per i soldi. Lavora perché ha fatto voto di salvare la vita delle persone. Ha studiato tantissimo per farlo bene. Vorrebbe però anche fare altro nella vita, perché ha una divisa addosso, non il saio di un francescano.

Però il MET è un pericolo… o sono meglio sindacalizzati?

Ora però bisogna toccare anche l’ultimo pulsante di questa situazione critica. Che sono i MET. Sappiamo purtroppo già da adesso che finirà così: i 90 milioni di euro saranno divisi fra Anestesisti, MEU, infermieri di area critica, autisti-soccorritori e MET. Tutte persone che combattono ogni giorno nelle fila del 118. Però, facendo due conti, aver portato a casa 90 milioni di euro diventerebbe una cosa indicibile, non di certo una vittoria. E dispiace doverlo sottolineare, ma va fatto. Se mancano persone competenti e vogliose di lavorare per il paziente, di specializzarsi come MEU, forse è perché la strada del MET è davvero troppo facile da intraprendere. Una delle soluzioni potrebbe essere riportare i MET in un percorso che li abiliti e mantenga elevata la loro formazione mentre lavorano in PS. E’ difficile, ma non impossibile. Una cosa che negli anni ho imparato è che all’interno della medicina la gerarchia è una brutta bestia. Ma quando si è in emergenza (e mai più d’ora è così) la gerarchia serve. Un capitano, i suoi gregari, e lavoro di squadra. Ecco perché stona sentire alcune campane lamentarsi. Ecco perché potrebbe essere il momento, per anestesisti e MEU, lavorare insieme per raccogliere più forze possibili e aumentare il numero di gregari capaci di concorrere alla qualità della salute dei pazienti, e alla qualità della vita dei medici.

Per adesso ne siamo usciti in meno. Domani?

Insomma, guardando ai numeri la situazione è desolante. Sappiamo già che i famosi 90 milioni saranno divisi fra infermieri, medici e personale tecnico, e che questi entreranno in busta paga su base oraria, scontentando comunque tutti perché di ore da fare ce ne sono già troppe e di straordinari in attesa di essere pagati ce n’è una infinità. Eppure basterebbe poco per rendere il quadro più chiaro, più speranzoso:

  • Riconoscere il lavoro in PS e 118 come usurante. I professionisti scapperebbero un pochino meno;
  • Regolamentare meglio il lavoro dei medici con competenze e ruoli di Anestesia e rianimazione, MEU e MET;
  • Aumentare le competenze degli infermieri di area critica e del territorio, che sono già ben formati (ma troppo spesso senza protocolli);
  • Uniformare il modo in cui Pronto Soccorso e servizio 118 lavorano a livello di strutture. Un percorso che sta andando avanti dopo la Carta di Riva, ma che richiede tempo e al quale non tutti vorranno uniformarsi;
  • Aumentare le assunzioni, non solo per dare tempo-vita alle persone, ma anche per permettere a loro di concentrarsi sulla ricerca in ambito medicale. La formazione rimane il punto fondamentale per avere una sanità migliore;

Se non vogliamo che il Pronto Soccorso diventi un aspettificio, un luogo dove il paziente arriva senza poter essere trattato adeguatamente, ma con il solo compito di fare da cuscinetto fra la disponibilità di posti letto e lo stato di necessità del paziente, bisogna agire. Anche – e soprattutto – coinvolgendo un terzo incomodo che troppo spesso è rimasto fuori in sala d’attesa: la medicina di base a cui i pazienti si rivolgono solo per la prescrizione delle ricette.